Girando attorno alla stampa del Jikji
...finanziata da una monaca!

Nota: In questa pagina si adotta la romanizzazione proposta dal governo sudcoreano nel 2000. Per maggiore chiarezza si sono riportati tra parentesi anche i lunghi nomi completi dei principali testi citati.

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.




I caratteri jujain che compaiono nel poscritto del Jikji significano “impresso con caratteri metallici”

C

ome si sa, il più antico libro stampato con caratteri mobili metallici giunto fino a noi, il Jikji (, nome completo Baegun hwasang chorok buljo jikji simche yojeol ), fu stampato in Corea nel 1377, circa 80 anni prima della “Bibbia delle 42 righe” di Gutenberg. Il nome Jikji, a sua volta, è un’abbreviazione di Jikji-insim gyeonseong-seongbul (), che significa che si può realizzare la natura originale della mente attraverso la meditazione, raggiungendo l’illuminazione.

Il fatto che entrambi i libri, il Jikji e la Bibbia, fossero di carattere religioso è ininfluente nella ricerca se la notizia della stampa di libri con i caratteri mobili metallici sia stata trasmessa dall’Oriente all’Occidente, così come è ininfluente il fatto che ben diverso era lo scopo per cui i due libri furono stampati: il Jikji per invocare l’aiuto del Budda contro le soperchierie dei mongoli invasori, la Bibbia di Gutenberg per un mero calcolo finanziario. Quello che conta, in questo caso, è capire se allora esistessero rapporti fra l’Occidente e l’Oriente tali che la notizia potesse arrivare dalla Corea, o meglio dalla Cina, in Europa.

Si tenga presente che i resoconti storici coreani affermano che la stampa con caratteri mobili metallici () fu inventata agli inizi del 1200, quando il testo Jeungdoga (titolo completo: Nammyeongcheon hwasangsong jeungdoga ) fu stampato con caratteri mobili metallici. Dal 1234 al 1241, con questo metodo furono stampate 28 copie di un altro testo, il Sangjeongyemun (). Anche se si volesse prendere come vera solo quest’ultima data (1234), si tratta di quasi 140 anni prima della stampa del Jikji e oltre due secoli prima della stampa della Bibbia di Gutenberg. È quindi logico supporre che questa tecnica non fosse stata appena inventata, ma che fosse una pratica abbastanza comune nel 1377, anno accertato della stampa di quell’unica copia rimasta del Jikji.

Caratteri mobili metallici ottenuti secondo il metodo di fusione antico

Mentre, per l’Europa, abbiamo la data certa dell’invenzione della stampa (attorno al 1455), per la Corea quella che viene presa in considerazione non è la data registrata nei testi storici (normalmente molto affidabili in fatto di date), ma quella rilevata dall’unica copia rimasta del Jikji. Comunque, anche tenendo presente la data del 1234 (e non il 1200) come punto iniziale, il periodo da prendere in considerazione per eventuali notizie della stampa con caratteri mobili metallici trapelate in Occidente è abbastanza lungo, all’incirca un paio di secoli nei quali i commercianti, grazie alla “pax mongolica”, osavano avventurarsi lungo percorsi faticosissimi e pericolosi con i loro carichi di merci. Uno dei primi di questi deve essere stato proprio Marco Polo, le cui memorie tanta impressione suscitarono in Europa.

Dopo la diffusione, all’inizio del Trecento, del Milione (titolo originale: Divisament dou monde o Livre des merveilles) di Marco Polo (1254-1324), la curiosità verso le terre misteriose e ricche narrate in quel libro spinse molti a visitare l’Estremo Oriente, tanto che, attorno all’epoca in cui veniva stampato il Jikji, furoro compilati in Europa resoconti di viaggi e addirittura manuali di commercio per chi dovesse recarsi in quei luoghi per affari (come la Pratica della mercatura di Francesco Balducci Pegolotti - titolo originale: Libro di divisamenti di paesi e di misure di mercatantie, e d’altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti del mondo, e di sapere che usano le mercatantie e cambi, e come rispondono le mercatantie da uno paese a un altro e da una terra a un’altra, e simile s’intenderà quale è migliore una mercatantia che un’altra e d’onde elle vengono e mostreremo il modo a conservarle più che si può - ca.1339-1340).

Anche il papato aveva da tempo inviato missionari in Mongolia e in Cina e alcuni di questi avevano spedito in patria rapporti contenenti informazioni su quei paesi, fra cui il “Viaggio in India e Cina (1318-1330)” del francescano Odorico da Pordenone (1265-1331). La presenza di europei in Cina in quell’epoca è provata anche da ritrovamenti archeologici recenti: ad esempio, nell’attuale Jiangsu una scritta in latino sulla pietra tombale di una donna italiana porta la data del 1342, il che suggerisce che una famiglia veneta fosse colà residente e avesse rapporti commerciali con l’Asia.

Dunque, i viaggiatori veneziani (di cui restano poche tracce scritte se si esclude Marco Polo), e i missionari che furono mandati in Cina, sempre nel XIII secolo, devono aver trasmesso informazioni su quel paese ed è molto probabile (pur se non ancora provato) che parlassero anche dell’arte della stampa che in quei paesi era già conosciuta da qualche tempo. Questo ci porta a pensare che forse l’idea di Gutenberg non sia nata per caso, ma che sia uno sviluppo di qualcosa che egli possa aver udito da un missionario (ricordiamo che ha avuto molti contatti con l’arcivescovado di Magonza). Il segreto assoluto con cui Gutenberg nascose la natura del proprio lavoro sembra essere la prova che aveva capito l’importanza di una tale idea, e non si può escludere che questa intuizione gli sia venuta parlando con un missionario che era stato in Cina.


Il luogo in cui si trovava l’antico tempio Heungdeok. In lontananza, al centro dell’immagine, il museo della stampa antica.

Comunque, venendo a trattare in particolare del libro che costituisce l’argomento di questa pagina, l’unica prova concreta dell’esistenza in quell’epoca in Corea della stampa con caratteri mobili metallici è questo secondo volume incompleto del Jikji. E bisogna ammettere che è un caso che questo libro sia sopravvissuto finendo in Francia, per essere riscoperto dalla dott.ssa Park Byeong-seon (박병선 ) dopo anni che giaceva ignorato nella biblioteca nazionale di Parigi e ivi presentato nel 1972 in una esposizione speciale di libri. Forse, se questo libro fosse rimasto in Corea, avrebbe potuto avere un destino diverso.

Dopo che l’UNESCO ha annoverato il Jikji fra le “Memorie del mondo” nel 2001, la Corea ha avviato una campagna di ricerche volte a scoprire altre copie di quel libro stampato con caratteri mobili metallici, ma finora, nonostante le ricerche a tappeto che sono state lanciate in tutta la Corea, non si è più riusciti a trovare neppure una copia del primo volume (forse irrimediabilmente perduto) o un’altra copia del secondo volume del Jikji. Il fatto è che, in Corea, la carta dei libri antichi è stata talvolta usata come carta da parati per le pareti di argilla delle case tradizionali e spesso si trattava di opere preziose, non più valutate nel loro giusto valore alla morte del familiare che le aveva possedute. Più che le guerre che hanno devastato la penisola, questa pratica di usare vecchi libri per foderare le pareti o per imbottire il pavimento ondol di carta può essere stata fatale alle poche copie del Jikji stampate nel lontano 1377.

Del Jikji si conoscono molti dati, riportati nell’ultimo foglio dello stesso libro. Si sa che fu stampato nel quarto anno di regno del trentaduesimo sovrano di Goryeo (), il re U , che il luogo in cui fu stampato era il tempio Heungdeok (), che il testo fu compilato dal venerabile Baegun ( 1289-1374), che fu stampato da due suoi allievi, Seokchan () e Daljam () e finanziato dalla monaca Myodeok (). Se ne conosce anche l’intero contenuto, perché lo stesso libro fu in seguito stampato come copia xilografica (contiene trattati e insegnamenti zen dei grandi monaci buddisti), e si sa che fu stampato per implorare l’aiuto del Budda in un periodo storico particolarmente difficile per la Corea.

Il luogo in cui si sorgeva il tempio Heungdeok fu scoperto nel 1985 nel corso di alcuni scavi civili che, purtroppo, rovinarono irrimediabilmente la maggior parte dei resti dell’antico tempio. Si salvarono soltanto poche vestigia comunque importanti perché su un frammento di bronzo compariva il nome del tempio Heungdeok. Oggi vicino al luogo degli scavi sorge un nuovo tempio e il museo della stampa antica.


Su sfondo bianco le due citazioni relative rispettivamente al tempio 묘덕사 (in 7, 53, 3B 2ª riga, vol.) e al tempio 묘덕화원등사 (in 16, 103, 12A 4ª riga, vol. )

Un fatto curioso è che la stampa di questo testo fu finanziata da una monaca buddista, la bhikkuni Myodeok. (Bhikkuni, in coreano biguni , è il femminile di bhikku, termine in lingua pali che indica un monaco buddista mendicante e contemplativo, corrispondente al sanscrito bhiksu, al femminile bhiksuni.) Poco si conosce di questa finanziatrice. Il Goryeo-sa (Storia di Goryeo) non cita la monaca in questione, mentre parla in due occasioni di un tempio che ha lo stesso nome (Myodeok-sa ).

Inoltre, nella terminologia buddista esiste anche un Bodhisattva Myodeok (Myodeok-bosal ), per cui sembra probabile che il nome Myodeok non fosse il nome originario di quella donna, ma quello da lei assunto come monaca. Le fonti lasciano anche capire che questa stessa monaca abbia finanziato altre stampe effettuate con la tecnica dei caratteri mobili metallici e che il suo nome risulti, in tal modo, indissolubilmente legato alla stampa ottenuta con tale metodo.

Sull’entusiasmo per la scoperta di un tale prezioso reperto, in Corea si sono fatte ricerche approfondite sul periodo storico attorno al 1377 e nel 2000 è stata scritta e rappresentata un’opera lirica intitolata appunto “Opera Jikji” in cui la figura della monaca Myodeok è messa particolarmente in luce.


Una scena dell’opera Jikji. Sullo sfondo la riproduzione delle prime pagine del libro.

Secondo la trama di quest’opera, Myodeok sarebbe stata la seconda moglie (ancora giovanissima) di un funzionario appartenente alla famiglia reale, il dignitario Jeong An, devoto buddista, che desiderava che fosse stampato il Jikji per implorare l’aiuto del Budda. La prima moglie Su Chun Ong-ju, sorella del re, aveva un figlio, Heosuk, coetaneo di Myodeok. Il funzionario Jeong An viene incaricato dal re (Chung-suk) di recarsi presso la capitale dell’impero dei mongoli (che tenevano succubi i coreani) per protestare contro la situazione di schiavitù e di povertà in cui versava la popolazione costretta a fornire loro pesantissimi tributi.

Durante una cerimonia in cui l’imperatore mongolo riceve doni dai paesi sottomessi, Jeong An, invece di umiliarsi di fronte al sovrano mongolo, ribadisce l’indipendenza del proprio paese, al che l’imperatore adirato ordina che Goryeo da quel momento in poi ogni anno, oltre ai normali tributi in cavalli e altro, gli mandi anche 200 vergini di buona famiglia. Rattristato per il comportamento dell’imperatore mongolo, Jeong An si ammala e infine si suicida e compare in una visione a Myodeok, che era particolarmente legata al marito.

Nel frattempo Heosuk, il figlio della prima moglie, si innamora di Myodeok e vorrebbe sposarla, ma sua madre è contraria e, in punto di morte, consiglia a Myodeok di farsi monaca. Myodeok ubbidisce e, come monaca, finanzia la stampa del Jikji, facendo così in modo che la volontà del defunto marito si realizzi.

L’opera è una fusione di Oriente e di Occidente, in quanto presenta musiche tipiche coreane e costumi coreani in una struttura, quale l’opera lirica, prettamente occidentale.


Basato su numerose fonti in Internet e sullo studio dei testi storici coreani, in particolare del Goryeo-sa edizione Yonsei University, 1961.

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© Valerio Anselmo