Chung Choon-mo
e i tradizionali cappelli di crine di cavallo

Nel giro di pochissimi anni l'aspetto delle città coreane è totalmente cambiato, non solo dal punto di vista architettonico, ma anche nel modo di vivere e di vestire della gente. Fino agli anni 1960 era un fatto comune incontrare per la strada dei distinti gentiluomini abbigliati con il bellissimo costume tradizionale e con in testa il classico cappello rigido di crine di cavallo, mentre quasi tutte le donne indossavano abiti lunghi alla maniera tipica del luogo. Oggi, purtroppo, la cosiddetta “modernizzazione” ha occidentalizzato tutto, distruggendo quel tanto di esotico, per noi così affascinante, che ancora sopravviveva allora: le belle casette coreane con i tetti all'insù sono quasi scomparse, così come sono del tutto scomparsi i bei vestiti maschili caratteristici di un tempo. E di artigiani che producano cappelli di crine di cavallo non ce ne sono più. Chung Choon-mo è forse rimasto l'ultimo di questi artigiani-artisti a continuare la tradizione.

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


I

tradizionali cappelli di crine di cavallo, un'icona dell'era Chosŏn, sono sempre stati significativi più per il loro simbolismo, che per la loro funzionalità. E, anche se oggi non fanno più parte della vita quotidiana dei coreani, l'artigiano Chung Choon-mo continua nel mestiere che ha scelto da ragazzo.

A destra il tipico cappello rigido di crine di cavallo, simbolo
dello spirito dei letterati e del carattere raffinato della
classe aristocratica durante il periodo Chosŏn

Gli abitanti di certi paesi sono spesso associati a un tipo di cappello particolare. Per esempio, si dice che la bombetta sia il cappello degli inglesi, mentre il sombrero è ritenuto essere il copricapo tipico dei messicani. A sua volta, per il popolo coreano il cappello tradizionale è il kat (). Indossato dagli uomini adulti, questo cappello fatto di crine di cavallo era anche conosciuto con il nome di ipcha (입자 ), mentre una versione nera era chiamata hŭngnip (흑립 ). In particolare, questo tipo di cappello era il copricapo formale indossato dai funzionari governativi, come simbolo prominente del loro grado, durante l'epoca Chosŏn (1392-1910).

Una vita dedicata a questo lavoro


Come per la maggior parte dei cappelli, il kat proteggeva il volto di chi lo indossava dai raggi diretti del sole. Ma, nella società confuciana altamente irreggimentata della Corea del periodo Chosŏn, rappresentava qualcosa di più di un semplice copricapo: serviva a distinguere l'élite dominante dalla gente comune, oltre che essere un articolo di vestiario indispensabile che rifletteva l'aderenza a un'etichetta appropriata. L'altezza della corona e la larghezza della tesa sono mutate nel corso degli anni, mentre il tipo di fodera di canapa differiva a seconda del rango di chi lo indossava. Ma, verso la metà dell'epoca Chosŏn, si era stabilito uno stile standard, che rappresentava la dignità dei nobili yangban, la classe dell'élite dei letterati.

L'artigiano Chung Choon-mo al lavoro nel suo laboratorio.
Oggi egli compie da solo l'intero processo di lavorazione del
cappello, che un tempo era assegnato a tre diversi artigiani.

Purtroppo, a differenza dei cappelli tradizionali degli altri paesi che sono ancora oggi molto usati, il kat si vede ormai di rado in giro, se non come manufatto da museo o come arredo scenico dei drammi storici alla televisione. Come tale, la sua importanza per la vita quotidiana dei coreani è praticamente nulla. Si può dunque facilmente immaginare quanto questa situazione possa essere diventata penosa per una persona come Chung Choon-mo che ha dedicato la propria esistenza alla fabbricazione dei cappelli tradizionali della Corea.

“Nel processo di modernizzazione, gli abiti coreani sono stati sostituiti dai vestiti di stile occidentale e gli uomini hanno smesso di legare i propri capelli in un nodo sopra la testa, portando così alla fine la vita del tipico cappello coreano.” – fa notare Chung – “Quando ho cominciato questo mestiere, vi era ancora una grande richiesta di kat. Dopo aver ricevuto il diploma di scuola media superiore, vissi in una pensione a Taegu, dove abitavano anche i cappellai di kat Go Jae-gu e Jeon Deok-ki che producevano kat nello stile T'ongyŏng. Siccome io facevo dei lavori occasionali per loro, fui alla fine in grado di imparare l’arte di costruire cappelli di crine di cavallo.”

Una produzione in tre parti


Chung produce il tipo di cappello noto come T'ongyŏng kat (통영 갓), così chiamato dal nome della regione T'ongyŏng, da molto tempo considerato il migliore in assoluto di tutti i cappelli di crine di cavallo. Quando gli si chiede come mai i cappelli di questa zona siano arrivati a conquistare una tale distinzione, Chung si lancia in una lunga spiegazione. Verso la metà del periodo Chosŏn, il quartier generale di tre forze navali regionali fu stabilito nell'area di T'ongyŏng.

L'intreccio dei sottili fili di bambù che formano la tesa del
cappello, la parte che richiede più attenzione e pazienza
nel processo di produzione di questo tipo di copricapo

Per dare maggiore impulso all'economia della regione, l'ammiraglio Yi Sun-sin (이순신 ), primo comandante del quartier generale delle tre forze navali regionali, fondò dei laboratori di artigianato nell'isola di Hansando (한산도 ). In seguito, 12 dei laboratori furono trasferiti nella città di T'ongyŏng, fra i quali l'ipchabang che produceva cappelli di crine di cavallo, il somokpang, che creava mobili in legno e articoli di cancelleria, e il changjabang, specializzato in oggetti di ghisa. Questi laboratori, nei quali gli artigiani affinavano le loro abilità, producevano oggetti per i militari, articoli per la casa per i residenti locali e doni di tributo al re. A partire da quell'epoca la fama della qualità eccezionale dei cappelli tradizionali di T'ongyŏng si diffuse in tutto il paese.

Quando il comando navale fu chiuso, il sistema di produzione dei kat della regione collassò, portando a un marcato declino nella crezione di questi copricapi. Ciononostante un piccolo gruppo di artigiani mantenne viva la tradizione che nel 1964 fu designata Importante proprietà culturale intangibile numero 4, parallelamente alla designazione di tre artigiani come detentori del titolo: Go Jae-gu, ideatore della corona a forma di tazza rovesciata, Mo Man-hwan, creatore della tesa, e Jeon Deok-ki, che univa la corona e la tesa per completare il cappello.

Furono riconosciuti tre individui perché il processo di produzione tradizionale prevedeva uno specialista a parte per ciascuno dei tre compiti.

Per formare la tesa del cappello, Chung
Choon-mo tesse dei fili sottolissimi di bambù

Per prima cosa, i peli della coda o della criniera di un cavallo vengono tessuti per fare la corona, o ch'ongmoja. Poi viene fatta la tesa (yangt'ae) che viene prodotta tessendo fra loro dei finissimi fili di bambù, e infine la corona e la tesa vengono unite in un processo chiamato ipcha.

La produzione di un cappello tradizionale kat comprende un procedimento meticoloso che richiede grande maestria per ciascuna delle 51 operazioni: 24 fasi per la tesa, 17 fasi per la corona e 10 fasi per unire nel modo appropriato le due parti. Anche se ognuna delle fasi deve essere eseguita con la massima cura, si dice che la produzione della tesa implichi il procedimento più difficile e più accurato.

Un simbolo durevole


Se costruire un cappello tradizionale di crine di cavallo richiede le abilità specialistiche di tre artigiani, come mai Chung lavora da solo? La ragione di ciò sta nel fato odierno del kat. Quando la richiesta di cappelli tradizionali cominciò a diminuire all'inizio degli anni 1970, gli artigiani che lavoravano a Taegu, che era allora il centro del commercio dei kat, tornarono a T'ongnyŏng.

A causa della natura complessa e impegnativa dell'intero
processo di produzione dei cappelli tradizionali creati
interamente a mano, oggigiorno Chung riesce a
produrre appena una decina di “kat” all'anno.

Chung seguì i suoi mentori a T'ongnyong e cominciò ad apprendere a fondo i dettagli più minuti dell'arte. Col tempo gli artigiani più anziani man mano passarono a miglior vita, mentre nessun giovane aveva alcun interesse ad imparare un mestiere con un futuro così cupo. E così Chung si vide costretto ad apprendere tutti i 51 passaggi e i tre principali processi della produzione dei cappelli tradizionali kat. In effetti, Chung è l'unico a mantenere oggi in vita la tradizione dei cappelli tradizionali in stile T'ongyŏng.

“I nobili dell'epoca Chosŏn potevano avere abiti sdruciti, ma non avrebbero mai indossato un kat vecchio. Era una questione di orgoglio. L'inclinazione del loro cappello era per essi importante quanto il taglio del loro vestito. Un gentiluomo yangban non avrebbe mai ricevuto un ospite a capo scoperto, dal momento che un bel cappello tradizionale simboleggiava uno spirito da letterato e un carattere raffinato.” fa notare Chung.

Anche se ha speso la miglior parte della propria vita a fare cappelli di crine di cavallo, Chung afferma che, quando ammira i lavori degli artigiani del passato, può solo meravigliarsi e chiedersi come sia stato possibile che delle mani umane riuscissero a creare degli oggetti di un'arte così squisita. Il cappello tradizionale viene arricchito non solo dal carattere di chi lo indossa, ma anche dall'attenzione ai dettagli di chi lo costruisce.

A Chung ripugnano per natura le merci di plastica delle fabbriche delle produzioni di massa. Per quanto riguarda i sontuosi kat che si vedono spesso nei drammi storici alla televisione, Chung nota: “Il kat non è mai stato un simbolo di lusso o di autorità. È cambiato un po’ col passar del tempo, ma non è mai stato troppo largo, perché altrimenti sarebbe stato poco confortevole da indossare.”

In questo dipinto di maniera del diciannovesimo secolo
i due individui seduti al centro sono rappresentati con
il kat, il cappello rigido tradizionale di crine di cavallo

A causa della sua poca praticità, il cappello tradizionale non fa più parte oggi della vita quotidiana dei coreani. Di conseguenza Chung produce solo una decina di cappelli tradizionali di crine di cavallo all'anno. Ma, anche se oggi non è più ritenuto utile, c'è qualcosa di sbagliato nel relegare in una vetrinetta di museo questo che era un tempo un simbolo del periodo Chosŏn indossato con orgoglio dai letterati.


Tratto da “Chung Choon-mo Perseveres in Making the Traditional Horsehair Hat”, in Koreana, vol.20, n.3, autunno 2006. Testo originale di Choi Tae-won, fotografie di Seo Heun-kang. Ricerche bibliografiche a cura dell'autore del sito. Pubblicato con autorizzazione della Korea Foundation, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Koreana.

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© Valerio Anselmo