Corea: Da regno eremita a potenza industriale
Testo integrale della conferenza con proiezione di 50 diapositive
tenuta a Genova il 13 maggio 2009 alla Biblioteca Civica Berio
( © Valerio Anselmo )


Introduzione

Oggi parliamo della Corea, con particolare riguardo alla Repubblica di Corea, cioè alla Corea del Sud, un paese che conosco per avervi soggiornato cinque anni di seguito più di quarant’anni fa e per esserci tornato poi altre volte per brevi periodi.

Questa chiacchierata ha lo scopo di parlare della Corea com’era un tempo, come l’ho vista io negli anni 1965-70, e della sua transizione rapidissima da paese agricolo a paese industriale.

Produzione industriale attuale

Nonostante una relativa scarsità di materie prime, la Corea oggi produce di tutto. Ha la più importante industria navale del mondo, che registra il 40% degli ordinativi mondiali. È al terzo posto nella produzione di semiconduttori e al quarto nel settore dell’elettronica digitale. Si posiziona al quinto posto nel settore automobilistico e, in termini di volume, anche in quelli tessile, siderurgico e petrolchimico.

Probabilmente nelle nostre case abbiamo prodotti coreani senza neppure sapere che sono tali: auto Hyundai, KIA, Daewoo, computer, televisori, frigoriferi, forni a microonde, telefonini Samsung, LG, e tanti altri oggetti.

Cenno alla divisione Nord-Sud

Questi prodotti provengono tutti dallo stesso paese, la Corea del Sud, e arrivano in Italia per nave o per aereo, anche se la Corea è una penisola un po’ come l’Italia, che “teoricamente” potrebbe essere collegata all’Europa in modo più economico, cioè per ferrovia.

In fin dei conti, dal punto di vista geografico la Corea è situata nell’area estremo-orientale del continente eurasiatico, cioè sempre sullo stesso blocco di terra emersa sul quale, dalla parte opposta, si trova l’Europa.

Questo collegamento ferroviario possibile, che utilizzerebbe la ferrovia transcinese e la transiberiana, però, non si può usare perché, da oltre cinquant’anni la Corea è divisa in due, Nord e Sud, e le comunicazioni fra le due metà sono quasi nulle. Nulla può passare liberamente dall’una all’altra delle due Coree.

Clima

Come abbiamo appena visto, la Corea è una penisola, un po’ come l’Italia, ma è posizionata più a sud rispetto a noi.

Tanto per dare delle coordinate, Seul, la capitale della Corea del Sud, si trova all’altezza di Cefalù in Sicilia e il suo punto più meridionale arriverebbe a sfiorare la Libia.

Il clima però è molto diverso da quello che ci si potrebbe aspettare a questa latitudine, in particolare diverso da quello italiano per due motivi: il primo è dato dalla disposizione delle montagne. Da noi le Alpi sbarrano i venti freddi che provengono dal Nord, mentre in Corea le montagne sono disposte in modo da incanalare i venti provenienti dalla Mongolia e dalla Siberia, tanto che d’inverno, per vari mesi, i fiumi della Corea restano completamente ghiacciati.

Il secondo motivo che rende diverso il clima è che in Corea ci sono i monsoni, venti umidi meridionali che d’estate scaricano piogge torrenziali e fanno aumentare di molto l’umidità e la temperatura.

Com’è oggi la Corea del Sud

Chi oggi andasse a Seul, la capitale della Corea del Sud, vedrebbe una città con grandi grattacieli, un sistema di trasporti invidiabile (metropolitana, autobus, treni ad alta velocità), grandi alberghi, nessuna scritta sui muri, strade pulite e una popolazione educata e disciplinata.

Troverebbe un paese che ricorda in un certo senso l’America, specialmente per il modo di vestire e di comportarsi dei giovani.

Popolazione e lingua

La popolazione coreana è tipicamente orientale e parla una lingua che in origine si riallaccia al gruppo di lingue altaiche dell’Asia nord-orientale. L’origine settentrionale della popolazione coreana, oltre che dalla lingua è testimoniata da una delle antiche religioni del paese, lo sciamanesimo, venuto anch’esso dalle zone dell’area mongolica.

Pur essendo il coreano una lingua di origine nordica, il suo vocabolario è stato fortemente influenzato dalla Cina, tanto che oggi, nonostante il massiccio inquinamento da parte di parole americane, i vocaboli di origine cinese formano ancora circa il 50% delle parole della lingua.
 

Cenno all’alfabeto

Il coreano si scrive in modo diverso dall’italiano. Qui a sinistra vediamo come furono ideate le consonanti, basate sulla forma degli organi della fonazione. Le vocali, invece, si basavano su principi filosofici, in particolare su tre elementi: un pallino, che indicava il cielo, una linea orizzontale, che indicava la terra e una linea verticale che rappresentava l’uomo.

L’alfabeto coreano, inventato nel XV secolo da un re letterato, è considerato uno degli alfabeti più scientifici al mondo. Ma questa non è l’unica cosa di cui si possono, giustamente, vantare i coreani.

Panoramica su ciò di cui si può vantare la Corea

I coreani hanno molto di cui vantarsi. Nel passato, l’invenzione della stampa a caratteri metallici mobili, avvenuta quasi ottant’anni prima di Gutenberg, l’invenzione di orologi ad acqua, di meridiane concave che, preparate per una certa latitudine, indicavano le ore con precisione in tutte le stagioni, la costruzione della prima nave corazzata al mondo (chiamata “nave tartaruga”), e poi, negli ultimi trent’anni uno sviluppo economico rapidissimo, che l’ha portata a essere protagonista nel mondo.

Valori profondi della civiltà coreana: le arti

Ma, oltre a questi aspetti più tecnologici, un paese è anche, e soprattutto, la sua civiltà, la sua cultura, rappresentata in particolare dall’arte. La Corea ha prodotto grandi pittori e calligrafi, poeti e scrittori, musicisti, vasai, architetti e scultori.

Famose, in particolare, le ceramiche verdazzurre del periodo Koryŏ (che va dal 918 al 1392). Nella figura due ceramiche del XII secolo.
 

Molto belle le statue buddiste (qui il tempietto in grotta di Seokguram).

Questo tempietto fu una delle prime opere d’arte che ebbi modo di vedere in Corea, perché, dopo neppure una settimana dal mio arrivo nel paese, l’ambasciatore mi chiese di accompagnare un famoso restauratore di Firenze, che era stato invitato per dare consigli sulla conservazione dell’opera.

Grandiosi e imponenti i templi buddisti (qui vediamo il tempio Bulguksa risalente al VI secolo dopo Cristo, che si trova a Gyeongju, un’area ricchissima di pagode e statue religiose).

Poesia

Venendo a parlare di poesia, trovo bellissime le poesie brevi chiamate sijo, del sedicesimo e diciassettesimo secolo. (Allora venivano cantate.)

Oggi un poeta coreano famoso per le sue poesie brevi è Ko Ŭn, che è già stato in Italia. Le sue visioni poetiche sono ancora più sintetiche di quelle dei sijo.

Eccone un esempio:

어쩌자고 이렇게 큰 하늘인가
나는 달랑 혼자인데

(Chissà perché il cielo è così grande?
Io sono tutto solo...
)

Pittura

Fra i più famosi pittori folcloristici del passato vi è Sin Yun-bok del XVIII secolo, di cui vediamo questo “ritorno dal picnic in un giorno d’autunno”.

Si noti la lunga pipa fumata dalla dama in portantina, gli abiti, l’effetto del vento...

Fra i pittori odierni, trovo molto raffinato Kim Dong-hwa, autore di delicati disegni di fumetti.

Perché “regno eremita”

Ma veniamo ora a parlare di un’espressione che avete visto nel titolo della conferenza, la Corea come “regno eremita”. Questo nome fu dovuto al fatto che, nel 1644 la Corea, per evitare il più possibile i guai che aveva dovuto patire a causa degli invasori provenienti dal Nord e dal Sud, si era isolata in modo che non trapelassero all’esterno notizie sulle sue condizioni e sulle sue difese. La chiusura della Corea durò per quasi due secoli e mezzo, un periodo in cui nessuna notizia su quel paese trapelò oltre i confini, tranne in un caso.

Nell’agosto del 1653 un mercantile della Compagnia delle Indie (rappresentata nell’immagine) naufragò sulle coste dell’isola coreana di Jeju-do e i marinai furono fatti prigionieri. Uno di questi, un olandese di nome Hendrik Hamel, fuggito con altri 7 compagni dopo 13 anni, pubblicò al ritorno in Olanda un breve resoconto che ebbe una notevole diffusione in Europa.

Apertura dopo due secoli e mezzo

Il primo vero contatto con l’Occidente la Corea lo ebbe nel XIX secolo, quando il Giappone prima e le potenze occidentali poi mandarono navi a cercare di penetrare nel paese. Ad un certo punto, la Corea fu costretta ad aprire le proprie frontiere agli altri paesi. L’Italia siglò un trattato commerciale con la Corea nel 1884.

Fotografie di Carlo Rossetti (1902-1903)

Alcune delle prime fotografie della Corea di quel periodo le abbiamo grazie a un tenente di vascello italiano, Carlo Rossetti, (che qui vediamo in carrozza). Rossetti si fermò in Corea pochi mesi, fra il 1902 e il 1903, scattando fotografie del paese e della popolazione (soprattutto diapositive su vetro).

Vediamone alcune.

Riunione in un giorno festivo. Si notino i soprabiti bianchi e i cappelli neri di crine di cavallo indossati dagli uomini.

In lontananza, a sinistra, la cattedrale di Myeongdong (la cui costruzione era terminata nel 1898), che rimane ancora oggi la più grande cattedrale cattolica della Corea.

Foto di un ministro e di un generale. Si noti come l’uniforme del generale sia chiaramente di tipo occidentale, mentre quella del ministro sia ancora tradizionale.

Una ragazza danzatrice in abito di corte vista di fronte e di spalle. La foto in bianco e nero non ci permette di vedere i colori vivaci dell’abito di questa ragazza. Si notino le scarpe con la punta rivolta all’insù e le lunghe maniche per la danza che arrivano quasi fino a terra.

Un uomo trasporta sulla schiena una grossa giara, sul tipo di quelle che ancora oggi vengono usate per conservare i vegetali in salamoia per l’inverno. Il peso viene sostenuto sulla schiena mediante una struttura di legno, usata ancora di recente nelle campagne. L’uomo porta i capelli legati in un ciuffo sulla testa.

Abbiamo visto come gli uomini portassero i carichi sulla schiena. Le donne invece portavano i pesi sul capo (questi modi di portare i pesi erano ancora normalissimi negli anni 1960). Qui nella foto vediamo dei ragazzi che lavorano in campagna e, a destra, una bambina con un fagotto di erba sulla testa.

Vestiti di bianco

Il colore dell’abito coreano della popolazione comune, come si sarà notato nelle fotografie, era allora il bianco.

Continuiamo ora con qualche cenno di storia coreana.

Cenno alle sofferenze della popolazione dopo l’apertura

L’apertura del paese avvenuta alla fine del XIX secolo portò molte sofferenze al popolo coreano.

Particolarmente duro fu il periodo di colonizzazione del paese (1910-45) da parte del Giappone che proibì l’uso del coreano nelle scuole, sostituito dall’insegnamento del giapponese, e governò con pugno di ferro la popolazione coreana. (Nella foto un drappello giapponese passa nei pressi della porta Seodaemun di Seul).

E le sofferenze continuarono ancora negli anni 1950-53 a causa della fratricida Guerra di Corea, che causò innumerevoli morti e distruzioni in tutta la penisola.
 

Attaccamento alla tradizione

Ma, nonostante le terribili vicende subite, i coreani hanno mantenuto intatti i loro costumi tradizionali praticamente fino agli anni 1970 (qui vediamo una ragazzina che porta sulla schiena il fratellino. La foto risale alla guerra di Corea).

Peculiarità delle usanze coreane tipiche d’un tempo

Come abbiamo accennato, oggi chi visiti la Corea stenta a vedervi una civiltà diversa da quella occidentale. Ma vediamo quali erano alcune delle peculiari usanze coreane di un tempo.

Negli anni 1960 quello che colpiva di più erano le case e i vestiti della gente. Seul, la capitale, era allora costituita quasi interamente da case unifamiliari con il solo pianterreno e i tetti di tegole con gli angoli leggermente rivolti all’insù, un cortiletto e un muro di cinta. Nelle campagne invece prevalevano le case con i tetti di paglia, che si armonizzavano molto bene con la natura.

Le case (stanze, pavimento, ecc.)

Le camere avevano tutte il pavimento foderato di carta gialla, sempre tenuto pulitissimo (per entrare in casa, nell’ingresso ci si toglieva le scarpe, cosa usuale ancora oggi). Le camere d’inverno venivano riscaldate da una serie di cunicoli sotto il pavimento che ricevevano il calore dai fornelli della cucina (situata più in basso). Le stanze erano piccole e quasi prive di mobili, le porte e le finestre erano tutte scorrevoli e, al posto dei vetri, avevano della carta bianca.

Di solito le camere erano molto più piccole di quelle che vediamo in questa foto. Nella mia stanza, ad esempio, c’era un armadio a muro in cui si trovava: un materassino, le trapunte e un cuscino, cose che di sera si tiravano fuori per preparare il letto. Si dormiva direttamente sul pavimento, e di giorno, sgombrato il necessario per dormire, ci si sedeva sul pavimento, o su un cuscino. Una sola camera svolgeva quindi varie funzioni: era camera da letto di notte, sala da pranzo all’ora dei pasti (con l’aiuto di un tavolinetto basso, tipo vassoio con le gambe, che arrivava dalla cucina carico di cibarie), era anche sala per ricevere gli ospiti, studio, ecc.

Gli abiti (donne / uomini, città / campagna)

Venendo a parlare dell’abbigliamento, la massima parte degli abiti femminili che si vedevano a Seul negli anni 1965-1970 erano vestiti tradizionali (una corta giacchetta e una lunga gonna allacciata in alto, sopra il seno, e, sotto la gonna, dei pantaloni a sbuffo), mentre la maggior parte degli uomini, che lavoravano nei ministeri o negli uffici, indossavano abiti all’occidentale.

Per le strade non mancavano però dei distinti signori nel loro bel vestito tipico, con in testa il cappello di crine di cavallo. Nelle campagne, invece, la totalità degli abiti erano quelli tradizionali, quasi esclusivamente di colore bianco.

D’estate le donne, quando uscivano, solevano usare il parasole per non perdere il candore della pelle.

La scrittura, i libri, la data di edizione, il calendario lunare

Quando mi sono iscritto all’Università Nazionale di Seul, era piacevole sfogliare i libri, molti dei quali ancora scritti dall’alto in basso, con le colonne che si susseguivano da destra a sinistra, e con la pagina del titolo che corrispondeva a quella che nei nostri libri è l’ultima. (Nella foto la ristampa di un testo del XV secolo).

La data di pubblicazione doveva essere interpretata per capire quando il libro fosse stato edito, in quanto era indicata secondo il calendario coreano, che inizia non dalla nascita di Cristo, ma dalla fondazione della Corea da parte del mitico progenitore Tan’gun (2333 a.C.). Inoltre il calendario era quello lunare.

Oggi invece la data segue il nostro calendario, ma, come avviene anche in Giappone, è indicata scrivendo prima l’anno, poi il mese e poi il giorno.

Date, età dei bambini, compleanni

A proposito di date, quando un bambino nasceva si considerava che avesse un anno d’età e il compleanno, per tutti i coreani, era il primo gennaio dell’anno lunare.

Così, anche se il bambino era nato da pochi giorni, al successivo capodanno compiva due anni.

Matrimoni combinati, età degli sposi

E ancora: i matrimoni erano quasi tutti combinati dalle famiglie e i due sposi spesso si erano visti una sola volta prima del matrimonio (e, nelle famiglie più legate alla tradizione, venivano fatti sposare giovanissimi: i bambini a circa 10 anni e le bambine a circa 15 anni). (Nella figura un’autentica cerimonia di matrimonio odierna in stile tradizionale).

Come si conta: base diecimila (man). Calcolatrice=abaco.

Parliamo adesso brevemente di numeri. La calcolatrice più usata negli anni 1960 era l’abaco, e tutti i bambini imparavano a usarlo a scuola raggiungendo velocità di calcolo impressionanti. Ma andiamo un poco più a fondo in fatto di numeri.

Da noi ci sono le unità, le decine, le centinaia, le migliaia e poi si passa al milione e al miliardo. Anche in Corea, grazie al cielo, si usa il sistema decimale, ma, dopo le migliaia, ci sono ancora le decine di migliaia, dette “man”.

Quindi noi diciamo diecimila, ma in coreano si dirà “un man”, noi diciamo un milione, ma loro dicono “cento man”. Il multiplo successivo si chiama “ŏk” e vale cento milioni. I primi tempi, anche conoscendo un po’ di coreano, quando mi dicevano un numero più grande del normale dovevo fare tutta una serie di calcoli mentali per capire di che cifra si trattasse.

Non stretta di mano, ma inchino. Rispetto per gli anziani.

Altre usanze tipiche riguardavano i saluti. Per salutare, non si dava la mano, ma si faceva un inchino (nella foto vediamo l’inchino fatto al pubblico da parte di una squadra di calcio giovanile). Vi era un grande rispetto per gli anziani.

Quando si veniva presentati a un nobile anziano a casa sua, si doveva fare un inchino fino a terra e togliersi gli occhiali (esperienza personale).

Mai dire di no, né dire apertamente il proprio pensiero

La gente era gentile e comprensiva e aiutava. Per cortesia cercavano sempre di accontentare l’interlocutore.

Imparai presto che non si doveva mai dire di no, o controbattere apertamente manifestando qual era il proprio pensiero. Soprattutto, non si doveva mai mettere in imbarazzo una persona in pubblico: far perdere la faccia a uno significava farselo nemico per sempre.

Usanze a tavola

Parlando di quali erano le usanze a tavola, era considerato molto maleducato parlare mentre si mangiava, ma era allora ritenuto educato, quando si era invitati, manifestare il proprio gradimento per il cibo, gustandolo rumorosamente. Naturalmente oggi, con la globalizzazione, questo non si usa più.

A tavola non c’era il coltello né la forchetta, ma solo il cucchiaio e i bastoncini. E non c’era neppure il bicchiere. Non esisteva il pane e non si consumava né latte, né latticini (oggi invece hanno un latte buonissimo). Non c’era neppure il vino d’uva (questo non molto usato neppure oggi). C’erano di solito una minestra, riso cotto a vapore (al posto del pane), alcuni contorni piccantissimi e talvolta pesce, carne di bue o di maiale.

La frutta non si mangiava a tavola, ma si offriva invece quando veniva un ospite o si consumava in occasioni particolari, lontano dai pasti.

Piatti tipici

Qui non mi posso dilungare sul vitto coreano. D’altronde so che l’associazione GeKo ha in programma una presentazione della cucina coreana, con degustazioni. Citerò solo due piatti che, come importanza, vengono subito dopo il riso cotto a vapore: sono il kimchi (che si nota nei due contorni nella figura) e il pulgogi.

Il kimchi è il cibo più caratteristico della Corea. Si tratta di vegetali fermentati. Si usa soprattutto il cavolo cinese, ma si può preparare anche con cetrioli, rape e cipolle verdi.

Gli ingredienti base del kimchi sono oggi il cavolo cinese, l’aglio, il peperoncino rosso e i frutti di mare salati. È stato uno dei tre elementi (riso, kimchi e carbone o legna) che hanno permesso ai coreani di superare i lunghi e freddissimi inverni. La preparazione del kimchi per l’inverno (che si vede in figura) è un’operazione collettiva che coinvolge tutte le donne di casa.

Il pulgogi è carne alla brace e si dice che abbia origini antichissime, dai tempi in cui anche i coreani erano nomadi e si nutrivano prevalentemente di carne, un retaggio delle popolazioni nordiche, da cui deriverebbe il popolo coreano.

Vino di riso, makkolli, canti individuali, non in coro

Il vino che si beveva allora nelle osterie era vino di riso, un liquido biancastro con una gradazione alcolica piuttosto bassa, chiamato makkolli. Se ne bevevano però delle grandi ciotole, per cui alla fine il risultato era lo stesso: ci si ubriacava. Oggi si beve molto meno.

Da noi, un tempo, prima dell’avvento della televisione, nelle osterie, dopo aver bevuto un quartino, si cantava in coro. In Corea, invece, non c’era l’abitudine di cantare in coro, neppure nelle osterie, mentre un italiano (che era considerato venire dalla patria della musica) in varie occasioni era invitato (anzi, costretto) a cantare come solista, anche se non aveva voce.

Lavare e stirare

Per lavare i panni, la gente nelle campagne andava al fiume e, al posto del sapone, usava un bastone piatto col quale batteva sul panno da lavare. (L’immagine che vedete è presa da un film: in realtà una ragazza di campagna che andasse a lavare al fiume non si sarebbe vestita così).

 

Poi, per stirare i panni, anche a Seul, si usavano due bastoni tondi, a forma di clava, e con questi si batteva il vestito su una base di pietra levigata fino a che non fosse ben stirato. Il suono dei bastoni che battevano a ritmo nelle case era bellissimo da udire.

Come viveva la gente nel 1965

Ma come vivevano a quel tempo i coreani? A gennaio del 1965 il paese non si era ancora risollevato completamente dalla terribile Guerra di Corea, finita dodici anni prima. (Nella foto il canale che passava in Seul, dove la povera gente venuta dalla campagna costruiva abusivamente nel 1965 le proprie capanne)

Com’era la Corea (strade, ponti, autobus)

Le strade erano praticamente tutte in terra battuta, anche nella stessa capitale, i ponti erano quasi inesistenti: a Seul ve ne era uno solo che attraversava il grande fiume Han, tanto che d’inverno certi autocarri attraversavano da una sponda all’altra direttamente sul ghiaccio.

Per i trasporti in città c’erano degli autobus con ruote molto alte con soli posti in piedi, di solito affollatissimi. I primi piccoli autobus con posti a sedere (chiamati hapsŭng) sono venuti nel 1966 o ’67.

Posizione della donna

La posizione della donna era di grande sottomissione. La società era allora molto maschilista e la moglie, di fronte agli ospiti, veniva trattata piuttosto male dal marito (che voleva far vedere agli amici che in casa comandava lui).
In città i lavori pesanti venivano fatti dalle donne, che non potevano neppure fumare una sigaretta fino a quando non avessero compiuto 60 anni. Una giovane donna che fumasse era considerata una prostituta.

La donna era la regina solo in cucina, dove il marito non poteva entrare. Il marito veniva trattato dalla moglie con grande deferenza e i pasti gli venivano serviti su un tavolinetto, mentre lei mangiava in cucina. Quando c’erano ospiti, solo gli uomini si sedevano a tavola, e la padrona di casa si affannava a cucinare e portare in tavola le vivande.

Una donna si poteva riposare solo quando il figlio si fosse sposato, lei fosse diventata suocera e avesse finalmente una nuora che in casa avrebbe fatto i lavori più pesanti e sulla quale avrebbe potuto sfogare i suoi malumori.

Nelle campagne vigeva ancora la pratica della cosiddetta “moglie piccola” (작은 마누라), già proibita a Seul: quando la moglie principale (che aveva qualche anno più del marito) si sentiva ormai vecchia e stanca, sceglieva una ragazza che doveva fare da moglie al marito al posto suo e, soprattutto, fare i lavori di casa.

La famiglia estesa e l’aiuto ai parenti lontani

Nel 1965 le parentele erano molto più estese delle nostre, in quanto comprendevano parenti lontanissimi, che per noi sarebbero considerati ormai dei completi estranei. All’interno di questa famiglia estesa, i più ricchi e potenti aiutavano i più poveri. Un proverbio dice:

명주 옷은 사촌까지 덥다
I vestiti di seta scaldano fino ai cugini.

Per contro, chi non apparteneva alla famiglia estesa era considerato un vero estraneo e non veniva aiutato, anche se si trovava in gravissime difficoltà economiche.

Oggi i parenti lontani della famiglia estesa si incontrano una volta all’anno per la festa della luna d’autunno (Chuseok) che si tiene nel villaggio di origine della famiglia il quindicesimo giorno dell’ottavo mese del calendario lunare (nella foto una riunione degli anziani).

Come campava la popolazione

In quegli anni come campava la popolazione? Anche se la maggior parte della gente aveva a sufficienza da vivere in modo frugale, bisogna ammettere che una parte della popolazione soffriva la fame e, chi non aveva un parente agiato, non aveva speranze.

Specialmente verso la fine dell’inverno, quando le scorte (di riso, vegetali in salamoia e combustibile) finivano, vi erano casi di interi nuclei familiari (padre, madre e figli) che si suicidavano con il monossido di carbonio delle formelle di argilla e carbone (che vedete nella foto) usate per riscaldare.
 

Ripresa pre-industriale con il Nuovo Villaggio

Ma il paese stava già cominciando a riprendersi. Il primo accenno fu l’idea di un presidente considerato oggi un dittatore, il generale Park Chung-hee (a sinistra con gli occhiali da sole), che propugnò il movimento chiamato in coreano “새 마을 운동”, che si può tradurre con “Movimento Nuovo Villaggio”. Risale a quegli anni l’asfaltatura della maggior parte delle vie di Seul, la realizzazione della prima autostrada da Seul a Pusan, la costruzione di ponti in tutto il paese e il potenziamento della rete ferroviaria.

Da allora la Corea cominciò a produrre e a esportare. E da allora cominciò a cambiare non solo l’aspetto delle città, ma anche il modo di vivere e di pensare della popolazione.

 

Abisso tra la Corea tradizionale di 40 anni fa e quella odierna

Tra la Corea tradizionale (cioè fino al 1970 circa) e la Corea odierna c’è un salto qualitativo enorme: si è passati da un paese ancora prevalentemente agricolo con tutte le sue antiche tradizioni gelosamente mantenute in una famiglia patriarcale, a un paese industrializzato che intende adeguarsi al resto del mondo occidentale, anzi che sfida l’intero pianeta in fatto di modernizzazione.

Oggi la grande famiglia patriarcale non esiste quasi più. I giovani sono confluiti nelle grandi città alla ricerca di un lavoro e vivono in appartamenti piccolissimi. A causa di questo nuovo modo di vivere, i giovani coreani stanno praticamente dimenticando la loro antica civiltà.

Problemi causati dalla modernizzazione

Oggi la Corea del Sud si è molto occidentalizzata. Seul ha visto decuplicare la sua popolazione (da poco più di un milione di abitanti nel 1965 a oltre undici milioni oggi), e ha perso quasi completamente le caratteristiche “esotiche” di un tempo. La maggior parte della gente oggi vive in anonimi condomini tutti uguali (come quelli della foto), ha dimenticato quasi del tutto le antiche usanze.

Si è verificata anche una specie di ribellione delle donne, con un forte movimento femminista. Il numero dei divorzi è aumentato e ci sono molti casi di mogli che abbandonano marito e figli per andare a vivere con un altro uomo. Sembra che dall’Occidente la Corea abbia preso spesso i lati peggiori, anche se, naturalmente, l’industrializzazione e le esportazioni hanno arricchito il paese.

Non tutti i coreani sono d’accordo con il modernismo

I sudcoreani sono orgogliosissimi dei loro successi e della loro rapidissima industrializzazione. Hanno battuto l’Italia in vari campi, non solo nel calcio nel 2002 (grazie al famoso e deprecato arbitro Moreno) e nelle recenti olimpiadi 2008 di Pechino (13 medaglie d’oro alla Corea, solo 8 all’Italia), ma anche nella produzione di navi, di auto, di computer, di telefonini, nei trasporti interni e nella diffusione della banda larga per Internet in tutto il paese.

Ma non tutti i coreani vedono di buon occhio la sfrenata occidentalizzazione del paese. Ricordo che in occasione di un banchetto dissi al poeta Ko Ŭn (qui nella foto) che ero esterrefatto di fronte all’inquinamento linguistico del coreano da parte di parole americane, e lui approvando mi strinse la mano calorosamente.
 

Un altro famoso scrittore contemporaneo, Kim Hoon, dimostra il suo disprezzo per l’adorazione della tecnologia da parte dei coreani di oggi. Tutti i suoi libri li scrive semplicemente a matita (ignorando macchine da scrivere e computer), non ha la patente e gira solo in bicicletta. Eppure tutti i suoi romanzi storici hanno superato in Corea il milione di copie vendute e sono stati tradotti in varie lingue.

Pregi della Corea attuale

La Corea del Sud è una nazione piena di coraggio, non solo perché deve confrontarsi in una situazione difficile con il Nord Corea, ma per la sua voglia di lavorare. I coreani sono dei grandi lavoratori e sono una popolazione molto disciplinata: Seul è una città pulita, non si vedono muri imbrattati e le strade non sono piene di spazzatura come succede, purtroppo, da noi.

La Corea del Sud ci sta dando lezioni di saggezza politica, in quanto riesce a mettere da parte le beghe interne per cercar di risolvere, con una politica lungimirante e dinamica, i non pochi problemi del paese.
 

Il sito www.corea.it

Questa chiacchierata non ha che sfiorato l’argomento Corea. Chi volesse avere maggiori notizie su questo paese, potrà consultare il mio sito www.corea.it che contiene ormai 785 pagine di informazioni.

Si tratta di un sito indipendente, di carattere soprattutto culturale, che gestisco autonomamente da dieci anni (dal febbraio 2000) e che non viene sovvenzionato da alcuno. Visitatelo.
 


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