A che gruppo linguistico appartiene il coreano?
pubblicato su “Noi, Cricci” - aprile 2006

Come si sa, le lingue sono strumenti di comunicazione in continuo movimento, perché seguono le vicende storiche dei popoli. Si sa anche che gli studiosi hanno raggruppato le lingue in famiglie, per indicare la somiglianza e la derivazione di una certa lingua da un capostipite. Per capire se due lingue sono più o meno vicine si analizza la loro sintassi e il loro lessico. La sintassi contiene le regole di combinazione degli elementi significativi nella formazione della frase, mentre il lessico è l'insieme dei vocaboli che costituiscono la lingua. Nel giudicare se una lingua appartiene a un certo gruppo concorrono entrambi questi fattori, ma normalmente il lessico viene ritenuto più importante.

Sgombriamo subito il campo dalla sintassi. Semplificando, si può dire che il coreano segue lo schema “soggetto - complemento - verbo”. Per dire “Lui mangia il riso” un coreano metterà le parole nell'ordine “Lui il riso mangia”. Alle varie parti della frase vengono assegnate funzioni per mezzo di posposizioni, mentre noi nelle nostre lingue usiamo delle preposizioni per raggiungere lo stesso scopo. Un esempio: per dire “È il figlio di Mario” un coreano rivolterebbe la frase mettendo le parole nell'ordine seguente: “Mario-di figlio è”. Questo modo di disporre le parole nella frase è tipico di un gran numero di lingue, tutte imparentate fra loro. Si tratta delle “lingue altaiche”, che prendono il nome da una catena di montagne poste al Nord della Cina, fra la Mongolia esterna e il Kazakistan. La grande diffusione areale di queste lingue (dalla Corea alla Turchia) è dovuta alle scorribande delle orde mongole che si spostavano con i loro cavallini su tutta l'Asia centrale.

L'influenza cinese sulla lingua coreana

Abbiamo detto che, nel giudicare la parentela linguistica, è importante l'analisi del lessico, cioè delle parole che formano la lingua. In effetti, anche se questa parte della lingua è la più soggetta a variazioni improvvise in seguito a mode o tendenze, le parole mantengono una loro identità molto a lungo nel tempo. Fino agli anni 1960 il coreano era composto da un cinquanta per cento di parole di origine coreana e un cinquanta per cento di parole di origine cinese, queste ultime chiaramente distinguibili dalle altre e dovute alla grandissima influenza culturale che la Cina aveva per secoli avuto sul paese (si pensi che fino alla metà del quindicesimo secolo in Corea si parlava coreano, ma si scriveva in cinese, e che fino a cent'anni fa i documenti ufficiali venivano ancora redatti in cinese). Tolti di mezzo i termini di origine cinese, quel che resta costituisce la base per un confronto. Dal quindicesimo secolo in poi, grazie all'invenzione dell'alfabeto i coreani poterono scrivere la loro lingua e questi antichi testi scritti in alfabeto, unitamente ad altri testi trasmessi solo oralmente (i canti delle sciamane che venivano imparati a memoria e non dovevano essere mai scritti), ci permettono di capire a quale gruppo appartiene il coreano.

Si scopre così che il coreano appartiene effettivamente al gruppo delle lingue altaiche, che ha come capostipite il mongolo (o un proto-mongolo) e che comprende lingue sparse su tutta l'Asia. Un fatto interessante è che, partendo da un centro, le innovazioni linguistiche si espandono a ondate pian piano verso gli estremi del territorio interessato e sono proprio gli estremi che conservano meglio le parole più antiche: nel caso delle lingue altaiche gli estremi sono costituiti dalla Corea e dalla Turchia. Abbiamo parlato del turco. Oggi questa lingua è fortemente impregnata di elementi islamici, ma, se consideriamo il turco precedente al tredicesimo secolo (purgato dalle parole di origine araba) e il coreano più antico (purgato dalle parole cinesi), si riescono a trovare dei chiari punti di unione fra queste due lingue, sia dal punto di vista sintattico che da quello lessicale.

Cronaca di una scoperta

Ora vi voglio raccontare come, per un caso fortuito, sia riuscito a scoprire l'etimologia, cioè l'origine, di un paio di parole coreane che nessuno studioso era ancora riuscito a trovare. Nella casa in cui abitavo, la padrona di casa, originaria di una zona di campagna, a volte riceveva delle amiche venute a Seul dal paesello. A quel tempo già studiavo da un paio d'anni linguistica presso l'Università Nazionale di Seul e mi interessavo moltissimo ai dialetti coreani. Per cui, quando queste signore venivano a far visita, io stavo a sentire quello che si raccontavano e poi, se non avevo capito qualche parola, ne chiedevo il significato alla padrona di casa. Un giorno, parlando dei lavori nei campi, le amiche della padrona di casa citarono due parole che non capii: kombangme e komilge. Interrogata in seguito sul significato di queste parole, la padrona di casa mi spiegò che il kombangme era uno strumento costituito da un bastone su cui era posto un cilindro di legno che veniva usato per rompere le zolle di terra, mentre il komilge (detto anche komurae) era formato da un'assetta di legno posta in cima a un bastone, e che lo strumento veniva usato per spingere la terra per coprire i semi una volta che erano stati seminati nel solco.

A sinistra il kombangme, a destra il komilge (o komurae)

Questi due nomi fecero subito risuonare nella mia mente un campanello: nessuno aveva ancora considerato che in coreano, dopo migliaia d'anni che la popolazione si era staccata dal ceppo mongolo, potessero ancora esistere nuove prove dell'appartenenza della lingua alla famiglia delle lingue altaiche. Una breve analisi dei due strumenti indicava chiaramente che le parole erano dei composti, dove ciò che veniva dopo la prima parte (kom) aveva uno stretto rapporto con l'azione svolta da quegli strumenti. In kombangme, la parte pangme significava “pestello”, “arnese per battere”, mentre in komilge, la parte milge non poteva che significare “arnese per spingere”. Era persin troppo facile: entrambe le parole erano di uso comune, anche se in forma leggermente diversa (pangmangi, pestello, e milge formato dalla radice verbale mil-, spingere, e -ge, strumento). Restava da capire che cosa volesse dire la prima parte di queste due parole, cioè kom (considerando che komilge poteva essere una contrazione di kom-milge).

Qui dobbiamo fare un cenno alla “rotazione vocalica”. Molto tempo fa la pronuncia del coreano era diversa perché le vocali avevano un altro suono. A un certo punto, alcuni dicono verso il tredicesimo secolo, altri dicono prima, le vocali sono ruotate. Per farla breve, la “o” di kom nel coreano antico si pronunciava “u”, per cui, se dovevo fare un confronto, dovevo basarmi su una pronuncia “kum”. E proprio questa pronuncia mi dava la soluzione. Nel proto-mongolo la parola kum (qum) significava “sabbia, terra”. Ero stato fortunato! Per caso avevo ascoltato le tranquille chiacchiere di un gruppo di donne di campagna e la mia curiosità mi aveva fatto isolare dai loro discorsi queste due parole che non capivo. Erano parole molto antiche che si erano conservate inalterate nel tempo perché usate solo in campagna. Fui molto fiero di aver risolto un piccolo mistero e di aver dato il mio modesto contributo per chiarire ancor più l'origine della lingua del paese in cui da anni vivevo.

Valerio Anselmo

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