Chi ha seguito questa rubrica mensile sa che qui si parla soprattutto della Corea tradizionale, com'era un tempo, e sa anche che quel paese è cambiato moltissimo nel breve volgere di una quarantina d'anni. La rapidissima industrializzazione ha fatto sì che i prodotti coreani invadessero il mondo, che i lavoratori sudcoreani arrivassero a guadagnare oltre il quaranta per cento in più di quelli italiani, che l'aspetto delle città coreane cambiasse radicalmente, che il modo di vestire e di comportarsi della gente seguisse lo stile occidentale: oggi i giovani indossano minigonne e blue jeans e si tingono i capelli nei colori più inverosimili, e gli adulti, quando si presentano, ti danno la mano, mentre prima facevano solo un inchino. Per non parlare dei grossi condomini che stanno in parte rimpiazzando le casette unifamiliari d'un tempo. Una delle cose che, nonostante tutta questa rivoluzione dei costumi, non è mutata è però il modo di mangiare, sia come tipo di cibo che viene consumato, che nell'uso delle posate (a tavola ci sono solo cucchiaio e bastoncini e, al posto dei piatti, ci sono le ciotole). In pratica, tranne alcune piccole innovazioni, come il consumo del latte, oggi nelle famiglie coreane si mangia ancora quasi esattamente come quarant'anni fa. Nelle riviste che ci giungono da quel lontano paese vi sono spesso articoli che parlano di piatti particolarmente apprezzati dai coreani e l'analisi visiva (fotografie) e descrittiva (a parole) di quei manicaretti ci può anche allettare e farci venire l'acquolina in bocca. Per avere un'idea più immediata di quel tipo di cucina, però, niente di meglio di una degustazione diretta degli stessi piatti presso un ristorante coreano qui in Italia. Se non avete mai fatto questa esperienza, l'impatto con una civiltà gastronomica così diversa vi può lasciare letteralmente a bocca aperta, specialmente se quel ristorante non avrà “italianizzato” troppo il proprio menu. Il kimchi, il pibimbap, il pulgogi, le stesse minestre di verdura sembrano contenere manciate di peperoncino rosso piccantissimo e tanto aglio da impedirvi di andare in ufficio il giorno dopo. Nei ristoranti coreani qui da noi vi verrà probabilmente fornita una forchetta, ma, secondo me, se volete veramente provare a mangiare alla coreana, dovete chiedere i bastoncini. La vera esperienza di come sia il vitto coreano si può comunque fare solo vivendo per un certo tempo in Corea e frequentando i ristorantini popolari dove ci si siede sul pavimento a gambe incrociate (gli uomini) o a gambe ripiegate (le donne), davanti a un tavolino basso su cui vengono serviti decine di piattini di contorno, oltre al riso (che fa le veci del nostro pane), a una minestra e a un piatto principale, il tutto ben condito di spezie molto molto piccanti. Oltre quarant'anni fa, i primi tempi che mi trovavo a Seul, fui costretto, volente o nolente, a una dieta dimagrante forzata proprio a causa dei cibi troppo piccanti. Mi ricordo, come fosse oggi, che andavo in uno dei ristoranti di Myŏng-dong e ordinavo un piatto, mosso da vera fame, ma, dopo poche cucchiaiate, la minestra piccantissima o il kimchi altrettanto piccante mi chiudevano la gola ed ero costretto ad abbandonare il tutto perché la bocca mi bruciava tanto che non riuscivo più a inghiottire niente. La conseguenza era che, due ore dopo, avevo di nuovo fame, più di prima. Ma, naturalmente, a tutto si fa l'abitudine e, così, dopo un anno mandavo giù qualunque cosa e, dopo qualche altro anno, ero in grado di trovare “appena gradevolmente piccante” perfino il vitto piccantissimo che ci davano nei villaggi di campagna quando, assieme agli altri studenti dell'università che frequentavo, si andava a fare ricerche sugli usi e costumi locali. Per quanto riguarda l'utilizzo dell'aglio, tradizione culinaria che i nostri due paesi hanno in comune, bisogna ammettere che nella cucina coreana questo condimento viene usato con molta più abbondanza che da noi. Non ricordo comunque di aver mai avuto, in Corea, alcuna conseguenza sociale spiacevole a causa del suo consumo. D'altronde, secondo tradizioni millenarie locali (come il mito del fondatore del popolo coreano, Tan'gun), l'aglio è considerato una specie di medicina molto salutare. Un antico testo storico, il Samguk Yusa, dice infatti: “A quell'epoca un'orsa e una tigre che vivevano in una caverna desiderando diventare umani pregarono Hwanung di esaudire il loro desiderio. Il re diede loro un mazzetto di artemisia sacra e venti spicchi d'aglio e disse: «Se mangiate questo ed evitate di vedere la luce del sole per cento giorni, diventerete umani». Entrambi mangiarono le erbe. Dopo ventun giorni l'orsa diventò una donna, ma la tigre invece, non avendo rispettato il tabu, non fu trasformata in uomo.” Il discorso sul mangiare mi porta a parlare anche di chi cucina, che in casa è sempre la donna. Già si è detto altrove che la Corea era un tempo molto maschilista: la donna era considerata, in un certo senso, un essere inferiore e, come tale, aveva un ruolo molto secondario nella vita pubblica. Per quanto riguarda la casa, la moglie era le regina della cucina (dove il marito non poteva mettere piede), ma per contro, dopo aver servito il pasto al marito, ella non si sedeva a tavola con lui, ma se ne andava a mangiare in cucina. D'altronde, anche se i giovani italiani non lo sanno, la donna non aveva gli stessi diritti degli uomini neppure in Italia, e ancora persistono tuttora qui da noi diversità di trattamento fra i due sessi. Con lo sviluppo industriale, in Corea la donna si è “liberata” e ora prende a modello il modo di comportarsi della donna americana, con conseguenze a volte disastrose (divorzi e abbandono di marito e figli). Su questo punto la donna coreana sta combattendo la sua battaglia per la parità dei diritti, tanto che ora anche in Corea esiste un equivalente del nostro recente Ministero delle pari opportunità. Anzi, in un certo senso, con la recente nomina da parte del presidente Roh della signora Han Myeong-sook a Primo Ministro, la Corea del Sud batte l'Italia per uno a zero in fatto di parità fra i sessi. Ma intanto nel centro di Seul certi ristoranti fanno esperimenti di fusione fra la cucina coreana e quella occidentale, con la creazione di piatti al cui nome viene opportunamente aggiunto l'appellativo “fusion”. E i ristoranti italiani che nella capitale sudcoreana servono gli spaghetti stanno facendo affari d'oro. Segno che, forse, qualcosa si sta muovendo anche in quello che resta il più tradizionale e radicato dei costumi coreani. Chi volesse saperne di più sulla cucina coreana può dare un'occhiata su Internet alla pagina www.corea.it/la_cucina.htm e alle pagine successive su quell'argomento. Buon appetito! Valerio Anselmo |
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© Valerio Anselmo