15 agosto: Festa della liberazione
pubblicato su “Noi, Cricci” - agosto 2006

Nella seconda guerra mondiale la resa del Giappone agli Stati Uniti, avvenuta il 15 agosto 1945, segnò per i coreani la fine del dominio coloniale giapponese e l'inizio dell'era moderna. Nel “paese del calmo mattino” la data del 15 agosto è commemorata ancora oggi come “Festa della liberazione” ed è una giornata di ricordi per chi quegli anni di schiavitù li ha vissuti sulla propria pelle.

Una sfilata per commemorare
l'indipendenza della Corea

A partire dal 1910, per lunghi anni, i coreani furono soggiogati dal vicino Giappone. Era il periodo in cui anche in Europa andavano di moda le colonie: la stessa Italia conquistava la Somalia, l'Eritrea, l'Etiopia, considerando quei territori zone da sfruttare. In Corea i giapponesi si impadronirono presto di tutti i posti di comando e cercarono di “nipponizzare” i loro sottomessi, arrivando a proibire l'uso del coreano e imponendo lo studio del giapponese nelle scuole e l'uso di tale lingua negli uffici pubblici. Non solo, ma qualunque atto fosse considerato segno di ribellione era punito con il carcere o con la morte. I racconti di chi patì quelle angherie sono impressionanti.

La signora, oggi vicina ai novant'anni, che mi curava la casa nel periodo del mio soggiorno in Corea amava chiacchierare e nei momenti di riposo mi raccontava i suoi ricordi del passato. A distanza di quasi quarant'anni, un paio di questi episodi restano ancora vivi nella mia mente. La signora in questione, che chiameremo Chang, all'epoca dei fatti viveva nella casa dei suoi suoceri in un villaggio vicino a Ch'ŏngju. Era una zona di campagna tranquilla, in cui le truppe del Sol levante non erano ancora note per la loro crudeltà. Un giorno un gruppo di soldati giapponesi giunse al villaggio e il loro comandante invitò gli anziani del villaggio, forse una decina di persone, a una riunione per il giorno dopo.

Gli invitati pensarono di doversi preparare a puntino per il grande onore che veniva loro concesso di incontrare un ufficiale delle truppe dei dominatori, e dovettero consultarsi fra loro per concordare la condotta da tenere. Alcuni di loro avevano pensato che la convocazione preludesse all'assegnazione di una qualche onorificenza, o di una qualche carica ufficiale. Fatto sta che in una decina di case, fra cui la casa in cui viveva la signora Chang, vi fu un gran fervore di preparativi e una trepidante attesa dell'annunciato incontro. Le donne di casa si diedero un gran daffare per andare al fiume a lavare il vestito più bello dell'anziano invitato. A quei tempi non si usava il sapone, ma per lavare i panni si adoperava un bastone piatto con il quale si batteva la stoffa dopo averla immersa nell'acqua. Era un lavoro duro, che però le lavandaie alleggerivano raccontandosi le loro cose, e quel giorno l'argomento principale delle giovani nuore di quelle famiglie non poteva che essere l'onore dell'invito ricevuto dal loro suocero. Anche la signora Chang andò al fiume a lavare il vestito della festa di suo suocero.

Il mattino seguente, all'alba, alcuni soldati passarono nelle case dei notabili invitati per sollecitarli a seguirli al luogo della riunione, che si doveva tenere in uno spiazzo non lontano dal villaggio. Già alcuni degli anziani si trovavano con il drappello di soldati, abbigliati nel loro vestito di tela bianchissima, con il cappello di crine di cavallo in testa, dignitosi e nello stesso tempo felici per l'onore che stavano per ricevere. Ma, quando giunsero alla casa della signora Chang, il vestito della festa del suocero non era ancora pronto. La signora Chang e una delle serve stavano ancora stirando il vestito, anche questa un'operazione che richiedeva tempo e che si effettuava mettendo la tela su una base di pietra liscia e battendola con due coppie di mazzuoli di legno, una coppia per persona. Il suocero della signora Chang era furioso: a causa della poca attenzione di questa nuora incapace era ora costretto a non poter partecipare alla cerimonia. Non era una cosa tollerabile, ma, pur contro la propria volontà, fu costretto a rinunciare. Le recriminazioni non mancarono e alla povera nuora venne addossata la colpa dell'accaduto. Oltre tutto, c'entrava anche l'onore dello stesso suocero, che si era visto costretto a trovare una scusa verso gli altri anziani amici per la sua impossibilità di partecipare. Insomma, lì per lì, una vera tragedia.

Il gruppetto degli anziani notabili fu fatto incamminare sugli argini delle risaie e guidato verso il piede di una collina poco distante. Era una bella giornata fresca e i vecchietti, compunti nei loro vestiti della festa, camminavano a loro agio chiacchierando e pregustando l'incontro con l'ufficiale che li aveva invitati. Le donne del villaggio, curiose, seguivano dalle loro case la fila di persone che si allontanava fra i campi. Quello che successe dopo lasciò tutti attoniti. Giunti sul luogo dell'incontro, gli anziani furono fatti allineare, come se dovessero ricevere una qualche onorificenza, e poi, senza preavviso e senza alcun motivo, furono fucilati. Dal villaggio videro cadere quei corpi bianchi dei loro parenti, che ancora dopo, per vari giorni, furono visti biancheggiare da lontano.

Le crudeltà delle guerre sono fra le cose più difficili da spiegare e da giustificare. Episodi di crudeltà intollerabile erano allora all'ordine del giorno. Un altro degli episodi che la signora Chang mi raccontò è ancora più assurdo di questo. In Estremo Oriente le superstizioni sono sempre state molto radicate. Alcune di queste riguardavano azioni che avrebbero provocato sfortuna, e la sfortuna si riteneva fosse causata soprattutto dalle donne. Le truppe giapponesi pensavano che, se una donna avesse tagliato la strada a un loro drappello mentre questo era in marcia, quei soldati avrebbero in seguito subìto delle perdite perché tale azione avrebbe influenzato negativamente il loro fato.

Nelle città coreane gli spazi che separano le case di abitazione l'una dell'altra sono molto stretti. Le casette tradizionali, di solito costituite dal solo pian terreno, sono affiancate l'una all'altra e sono separate da uno stretto vicolo dalle basse costruzioni che le fronteggiano. A quei tempi tutte le strade delle città coreane erano in terra battuta e non c'era un servizio di fognatura. Quando qualcuno doveva buttar via dell'acqua sporca, usciva semplicemente di casa col catino e buttava l'acqua nel rigagnolo che scorreva lungo la stradina. Questa era un'azione talmente comune che non aveva mai causato pericolo prima e che veniva effettuata molte volte al giorno da parte delle persone di servizio o dalle donne di casa.

Il pavimento delle camere di una casa tradizionale coreana è coperto di carta oleata su cui è stesa una vernicetta lucida. Questa superficie viene sempre tenuta pulitissima perché tutti entrano in casa dopo essersi tolte le scarpe e sul pavimento si siedono, o si stendono per dormire. Il pavimento di conseguenza viene lavato anche più volte al giorno e l'acqua sporca, raccolta in un catino, viene poi gettata via.

Un giorno una ragazzotta, probabilmente di famiglia poverissima, che era venuta in città a far la serva, aveva appena lavato tutti i pavimenti ginocchioni per terra, e senza pensarci andò a buttar via l'acqua nel rigagnolo che si trovava dall'altro lato della stradina. Destino volle che in quel momento stesse sopraggiungendo un drappello di militari giapponesi. Il loro comandante fece subito afferrare la ragazza e, senza indugio, sguainata la spada la decapitò sul posto.

Valerio Anselmo

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