I pony, simbolo dell'isola di Chejudo



Pony al pascolo nella nebbia

L’

isola di Chejudo, un luogo turistico che rispetta la natura, ricco di montagne e di mare, è scelto dai turisti tutto l'anno per i suoi bei panorami. I cavallini pony che pascolano sui vasti prati sono una delle dieci “viste” di Chejudo. In effetti, una delle viste panoramiche che non può essere dimenticata dal turista è quella dei pony che stanno pascolando attorno al monte Hallasan o che galoppano per le pianure. Il clima mite dell'isola rende possibile l'allevamento del bestiame, per cui, oltre ai cavalli, si possono vedere qui anche mucche da latte (una vista assolutamente impossibile fino a pochi anni fa, quando latte e latticini non venivano consumati dalla popolazione locale).

Il pony è piccolo, ma ha una costituzione resistente e una natura mite. Questa sua costituzione, assieme a un'alta resistenza alle malattie, lo aiuta ad adattarsi all'ambiente, e può essere allevato con qualunque tipo di mangime. Fin dal lontano passato il pony ha giocato un ruolo importante nell'agricoltura dell'isola, arando il suolo di roccia vulcanica di Chejudo, pestando i semi dopo che sono stati seminati, trasportando le messi appena mietute e facendo girare le macine di pietra. Fino a qualche anno fa si potevano vedere, in qualunque strada di campagna, i pony che trascinavano piccoli carri (una vista comunissima anche nella stessa capitale, Seul, fino alla fine degli anni 1960).


Pony al pascolo vicino a un basso vulcano spento (sullo sfondo)

Quando la primavera si fa sentire al sud con una calda brezza e le colline e i campi diventano ancor più verdeggianti, i pony che hanno passato l'inverno nelle stalle galoppano attraverso la prateria. Come si è detto, si trovano specialmente nell'area attorno al monte Hallasan, al centro dell'isola di Chejudo, su pianori posti ad altezze che vanno dai 100 ai 300 metri sul livello del mare.

L'allevamento dei cavalli a Chejudo iniziò ai tempi del re Wŏnjong (r. 1259-1274) dell'epoca Koryŏ (918-1392). I nomadi Yüan si spostarono nell'isola di Chejudo e vi crearono terreni da pascolo e, nel 1276, secondo anno del re Chungnyŏl (r. 1274-1308), furono introdotti 160 cavalli mongoli. Anche dopo che la dinastia Yüan fu caduta, l'allevamento dei cavalli rimase un'industria importante per gli isolani, tanto che una famiglia su quattro a Chejudo era impegnata in questo lavoro.


Rappresentazione di una troupe di cavallerizzi mongoli

Si dice che, nel momento più fiorente, vi si allevassero oltre 20.000 pony, ma con la meccanizzazione dell'agricoltura iniziata alla fine degli anni 1960, la loro utilità diminuì e il numero dei cavallini si ridusse rapidamente, tanto da arrivare alle circa 3.000 unità allevate oggi. Oggi i turisti si possono divertire con i pony nei maneggi, alle rappresentazioni e alle corse.

All'interno della fattoria Green Resort esiste un'area per le rappresentazioni equestri con i pony. Si tratta di un campo equestre circondato da sedili e coperto da una cupola, dove si possono seguire le rappresentazioni di vari cavallerizzi mongoli e di acrobati cinesi. I cavallerizzi mongoli stupiscono il pubblico con i loro esercizi, che includono lanci di frecce e altro.


Il picco Sŏngsanbong, uno dei piccoli vulcani spenti che costellano l'isola, visto dall'alto

Ci si può recare presso uno dei maneggi sparsi per l'isola per provare a cavalcare questi cavallini. I pony dell'isola di Chejudo, che sono stati designati “monumento naturale n. 347”, sono molto più piccoli dei cavalli occidentali e la loro indole mite li rende sicuri, mentre la loro forza e rapidità permette di fare delle piacevoli cavalcate.

Attorno al monte Hallasan vi sono 24 maneggi dove i cavalli seguono percorsi fissi lunghi da 1 a 3 chilometri. Cavalcando si può ammirare il paesaggio circostante che spazia dalla montagna al mare.

L'isola di Chejudo, da tempo famosa come località turistica, ha di recente avuto una nuova possibilità di sviluppo con la designazione della sua capitale Cheju a “città libera internazionale”, avvenuta alla fine del 2001. La città di Cheju, con lo sfondo delle montagne e dell'oceano, è andata ancora più avanti ed è diventata una città ultramoderna che apre le proprie porte al mondo intero.


Uno scorcio del giardino botanico di Yŏmiji

Questa “città libera”, dove le persone, le merci e i capitali si possono spostare liberamente e dove le attività commerciali sono garantite come le più convenienti, ha intenzione di diventare nel prossimo futuro una delle città centrali dell'Asia nordorientale. Cheju intende diventare una città multifunzionale nei campi del commercio, delle imprese ad alta tecnologia, della distribuzione delle merci e della finanza.

Per attirare capitali coreani e stranieri, è stata creata una zona per la promozione dell'investimento e una zona di libero scambio, mentre sono state facilitate le procedure di ingresso e uscita dal paese. È anche in costruzione un complesso scientifico e tecnologico per le ditte impegnate nella biotecnologia, nell'informatica e nell'istruzione professionale.


Una pensione costruita in modo da sembrare una casa tradizionale di Chejudo, col tetto di paglia. All'interno però è fornita di tutti i servizi essenziali.

In conseguenza di questo sviluppo, sono sorti qua e là grandiosi hotel e molti capi di stato hanno soggiornato nell'isola. Ma i turisti non sono costretti a soggiornare in questi hotel piuttosto cari: ci si può rilassare anche spendendo relativamente poco, in pensioni che vengono preferite da molti visitatori, coreani e stranieri. Queste pensioncine hanno i servizi che uno si può aspettare in un hotel, si trovano vicino al mare o vicino al monte Hallasan, immerse nella natura, e di solito sono tranquille. Si trovano anche appartamenti forniti di cucinino per poter passare qualche giorno in piena libertà e tranquillità.

Altre informazioni sul turismo nell'isola di Chejudo (Jeju-do) si possono trovare visitando i siti della Organizzazione coreana del turismo e di Life in Korea.


Tratto da “The Pony, Symbol of Jejudo Island's Freedom and Liveliness”, in Pictorial Korea, ottobre 2002. Testo originale di Jo Won-mi, fotografie di Suh Jae-chul. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Korea.net.

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© Valerio Anselmo