L'attrazione della differenza

Questo sito, come avrà certamente notato chi lo visita con una certa frequenza, non si dilunga troppo sugli sviluppi più recenti della Corea dandoli in un certo senso per scontati. Tutti conosciamo i prodotti coreani, dagli elettrodomestici alle automobili, dai computer ai telefonini. E sappiamo pure quanto sia cambiato il paese, oggi talmente occidentalizzato da aver perso ormai quasi del tutto il sapore d'oriente che aveva ancora fino agli anni 1960. Lo scopo di questo sito è quello di dare ai visitatori un'idea di quanto quel paese fosse diverso dal nostro (o il nostro dal loro) andando a scoprire quel che sopravvive ancor oggi di quella grande cultura e di quelle antiche tradizioni.
L'articolo che segue, scritto da un'insegnante di musica dell'Università Femminile Ewha di Seul e pubblicato sul quotidiano JoongAng Ilbo il 19 agosto 2006, conferma che ciò che attira gli occidentali non sono tanto i progressi che la Corea compie verso la globalizzazione, quanto piuttosto le differenze fra le nostre due culture.


U

n mattino presto, al caffè di fronte all'università, incontrai una studentessa che lasciava la Corea per andare a studiare all'estero. Aveva con sé una custodia che sembrava contenere un violino. Esattamente un anno prima era venuta da me a chiedermi una lettera di presentazione e il mio parere sull'opportunità di andare a studiare all'estero. Ben consapevole dell'importanza di una lettera di presentazione per essere ammessi in una scuola americana post-laurea, doveva aver pensato a me perché fra gli studenti ero nota per avere buone relazioni negli Stati Uniti dove avevo studiato.

La professoressa Chae Hyun-kyung, autrice dell'articolo

Tuttavia, mi rifiutai di accontentarla, dicendole che non scrivevo lettere di presentazione per studenti ai quali non avessi insegnato e che non conoscevo bene. Le suggerii invece di seguire un seminario in inglese sulla storia musicale che organizzavo per gli studenti che intendevano andare a studiare in università all'estero. Non pensavo che una persona che sembrava così pratica avrebbe seguito il corso, specialmente dopo che la sua speranza di ottenere una mia lettera di presentazione era stata vanificata. Cionondimeno, lei si unì immediatamente al nostro gruppo e dimostrò di essere più preparata e competente degli altri.

Durante la nostra chiacchierata sull'opportunità di studiare all'estero fui in grado di vedere come si era preparata. Essendo una studentessa molto ambiziosa, aveva prodotto grandi brani, difficili e complessi, usando le tecniche di composizione moderne, da mandare alle università americane assieme alla propria domanda di ammissione. Allora io le raccontai come fu la mia prima lezione alla Harvard University. Ero andata là per studiare musica occidentale, ma, con mia grande sorpresa, i professori di Harvard mi consigliarono di scegliere, come argomento della mia esposizione, il “pansori”, il dramma cantato della tradizione coreana. Anche se ero nata nel paese del pansori, ero cresciuta ascoltanto Bach e Beethoven. E tuttavia essi insistettero perché parlassi della cultura musicale del mio paese.

In retrospettiva, nei primi anni 1980, quando andai per la prima volta negli Stati Uniti, si stava facendo in quel paese una sorta di esame di coscienza sulla tradizione accademica filo-occidentale nello studio della cultura mondiale. Cominciavano a rendersi conto delle limitazioni intrinseche che sussistevano quando lo studio di culture non-occidentali veniva effettuato da parte di occidentali che erano “alieni” rispetto ai mondi che volevano studiare, per cui i loro studi non potevano che difettare di introspezione culturale. La musica è un prodotto rappresentativo della cultura e non semplicemente un'autonoma combinazione di suoni, e, per questo motivo, non può mai essere capita senza un completo riconoscimento della cultura in cui questa musica è stata creata.

Uno spettacolo di musica e danza tradizionale

Raccontai alla mia studentessa un episodio che mi impressionò molto all'inizio degli anni 1990. L'università del Michigan stava cercando un professore che insegnasse letteratura e musica coreana al corso di studi coreani che stava per cominciare. A quell'epoca la scelta più favorita dagli studenti fu, in modo del tutto inaspettato, non un professore nato negli Stati Uniti e che aveva ricevuto il dottorato dall'università di Harvard, ma una piccola studiosa coreana proveniente dalla Corea, con un accento americano simpaticamente coreanizzato, che aveva studiato “kayagŭm” nel suo paese e che si era poi laureata in musicologia negli Stati Uniti. Fu una grande sorpresa per me, che mi stavo sforzando di impadronirmi perfettamente dell'inglese e di rendere minima la mia “differenza” per poter entrare nella corrente principale della cultura americana. Mentre gli americani ci avevano mostrato, attraverso la loro scelta, che erano pronti a trattarci da legittimi membri della società nel loro concetto ampliato di cultura mondiale, noi coreani mancavamo di fiducia nella nostra cultura.

Quella mattina al caffè trovai uno “haegŭm”, e non un violino, nella custodia per strumenti musicali della studentessa. A quanto pare era stata influenzata da quanto aveva sentito da me, ma mi superava in saggezza e coraggio nel fare una scelta di vita. Un anno prima, nel corso della conversazione che avevamo avuto, si era resa conto del vero significato di ciò che è essere diversi. Quella studentessa saggia aveva scelto lo haegŭm, che pensava fosse lo strumento tradizionale coreano più vicino al violino, e col quale aveva confidenza dal momento che l'aveva suonato fin dall'infanzia. Si era diligentemente esercitata nei mesi che precedevano la partenza per gli Stati Uniti. Andando al di là della semplice aggiunta di un elemento coreano al proprio studio, cercava anche di combinare il suono del haegŭm con quello del violino.

Oggi gli studenti, che sono aperti a tutti i tipi di informazione, percepiscono il vento della globalizzazione più intensamente di quanto non venga percepito da alcune persone piene di pregiudizi della società più inflessibile. Di fronte alla rigida tradizione di istruzione musicale che si segue in Corea, sono disperata per la situazione attuale perché non posso condividere con gli studenti, come vorrei, le mie esperienze del mondo al di là del nostro paese. E tuttavia, guardando quegli studenti che non hanno paura delle differenze e che sono pronti ad abbracciarle e a usarle nella loro ricerca artistica, ho la certezza che il domani sarà più luminoso dell'oggi.


Tratto da “The Attraction of Difference”, in Korea Focus, vol.14, n.3, autunno 2006. Testo del prof. Chae Hyun-kyung. Riferimento: Korea.Focus.

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© Valerio Anselmo