Vari modi per ottenere il negativo di un verbo
Esistono vari modi per esprimere il negativo di un verbo. Consideriamo per prima una forma che, per rendere il negativo, si serve dell‘ausiliare 아니하다 > 않다 ant’a (“non fare”). Per ottenere il negativo con questa forma, si inserisce dopo la radice verbale il suffisso ~지 chi (pronunciato all’italiana ci) che resta invariato nella forma scritta e si fa poi seguire il tutto dal verbo 않다 ant’a che viene coniugato. Ad esempio, dalla radice verbale 가~ ka (“andare”) avremo 가지 않아요 kaji anayo oppure 가지 않습니다 kaji ansŭmnida (“non vado”), 가지 않겠어요 kaji ank’essŏyo oppure 가지 않겠습니다 kaji ankessŭmnida (“non andrò”), 가지 않았어요 kaji anassŏyo oppure 가지 않았습니다 kaji anassŭmnida (“non sono andato”). Questa forma esprime il negativo senza alcuna implicazione secondaria, sulla volontà o l’impossibilità di compiere una certa azione.
Piccola nota sulla pronuncia
L’ausiliare 않다 ant’a “non fare” è una contrazione di 아니하다 anihada (아니 ani “non” + 하다 hada “fare”). La consonante aspirata ㅎ h, che si trova in ultima posizione nella prima sillaba di 않다, quando è seguita da vocale si indebolisce molto nella pronuncia, fin quasi a scomparire. Quando, invece, è seguita da una consonante occlusiva o affricata (ㅂ ㄷ ㄱ ㅈ), la fa diventare aspirata nella pronuncia. Esempio: 않다 ant’a (anh+ta=an+t’a).
Esistono poi altri due modi per manifestare il negativo, che si servono di avverbi negativi e che indicano quale sia, a proposito dell’azione da compiere, la volontà di chi parla. Si tratta degli avverbi 못 mot che indica l’impossibilità di compiere l’azione, indipendentemente dalla volontà di effettuarla o meno, e dell’avverbio 안 che indica la non intenzione di compiere l’azione. Ad esempio, se dico 못 가요 mokkayo significa “non vado perché ne sono impedito da qualcosa”, mentre quando dico 안가요 dico chiaramente che “non vado perché non ci voglio andare”. Bisognerà quindi fare un po’ di attenzione nell’uso di questi avverbi negativi, per non offendere l’interlocutore quando dobbiamo rifiutare un invito che ci è stato rivolto.
Un altro modo per indicare l’impossibilità di fare una certa azione si ha fondendo la prima forma con la seconda. Questa forma si ottiene aggiungendo il suffisso ~지 chi alla radice del verbo e facendo poi seguire il negativo di “fare”, 못 하다 mot’ada “non poter fare”, indicando così nel modo più esplicito l’impossibilità di effettuare quell’azione. Esempio: 가지 못 했습니다 kaji mot’aessŭmnida “non son potuto andare”.
Altra nota sulla pronuncia
La ㅅ s di 못, che prima di una pausa si pronuncia come una occlusiva alveolare (t) implosiva, quando è invece seguita da un’occlusiva o un’affricata (ㅂ ㄷ ㄱ ㅈ) nella prima sillaba del verbo che segue, non si pronuncia col suo vero suono, ma rende intensiva la pronuncia di quell’occlusiva o affricata. Ad esempio: 못 가요 mokkayo “non posso andare”.
Come si traduce il condizionale “se”
Il condizionale si esprime in modo piuttosto semplice, aggiungendo alla radice verbale la desinenza ~면 myŏn quando la radice termina per vocale e la desinenza ~으면 ŭmyŏn quando invece termina per consonante. Ad esempio, 가면 kamyŏn (se vado, vai ... vanno), 먹으면 mŏgŭmyŏn (se mangio, mangi ... mangiano). Questa particella ~(으)면 si traduce in italiano con “se”.
Verbi e sostantivi derivati
In coreano vi sono molti esempi di nomi derivati da verbi, come d’altronde ve ne sono anche in italiano: basti pensare al “canto” da “cantare”, al “ballo” da “ballare”, al “fischio” da “fischiare” eccetera. In coreano questi nomi vengono spesso usati assieme al verbo da cui derivano e quei verbi sono tutti transitivi. Ad esempio: 잠을 자다 “farsi una dormita” (letteralmente “dormire una dormita”), 춤을 추다 “ballare un ballo”, 걸음을 걷다 “andare a piedi” (letteralmente “camminare una camminata”). I nomi derivati aggiungono ~ㅁ m a una radice in vocale, ~음 ŭm a una radice in consonante diversa da ㅂ, ma ~움 a una radice terminante in ㅂ. Esempio: 도움 toum “aiuto” da 돕다 topta “aiutare”, dove la radice perde la ㅂ, mentre la desinenza trasforma la 으 ŭ (vocale non protrusa) in 우 u (vocale protrusa).
Resta da chiarire perché il verbo 걷다 (camminare) abbia trasformato la consonante finale ㄷdella radice in ㄹ prima della desinenza ~음 ŭm, trasformando quello che ci aspettavamo che fosse 걷음 in 걸음. Il motivo è che questo verbo appartiene a un gruppo di verbi irregolari che,
prima di una desinenza che inizia per ㅓ, ㅏ o ㅡ, cambia quella ㄷ in ㄹ.
Proposizioni causali (“siccome”, “poichè” ecc.) e l’infinito dei verbi
L’infinito si ottiene aggiungendo alla radice del verbo il suffisso 기, ad esempio: 오+기=오기 ogi (pronunciato all’italiana oghì) “venire” (infinito presente), 오+았+기=왔기 wakki “essere venuto” (infinito passato), 먹+기=먹기 mŏkki “mangiare” (infinito presente), 먹+었+기=먹었기 mogŏkki “aver mangiato” (infinito passato).
Una proposizione italiana composta da “siccome” e da un verbo viene resa in coreano con l’infinito seguito da 때문에 ttaemune. Ad esempio 가기 때문에 kagi ttaemune (“siccome vado), 봤기 때문에 pwakki ttaemune (“siccome ho visto”), 먹지 않았기 때문에 mŏkchi anakki ttaemune (“siccome non ho mangiato”).
Aggettivi, coniugabili quasi come i verbi
Finora abbiamo parlato poco degli aggettivi, ma in questa lezione rimedieremo alla mancanza. Gli aggettivi si coniugano più o meno come i verbi, e noi qui li chiamiamo “aggettivi coniugabili” (data la loro somiglianza con i verbi, altri li chiamano “verbi descrittivi”). Noi in italiano diciamo, ad esempio, “La montagna è alta”, dove il verbo “è” funge da copula e “alta” costituisce il predicato nominale. In questo caso in coreano la copula non esiste perché gli aggettivi, in un certo senso, la contengono già in sé. L’aggettivo “alto” in coreano è 높다, che significa “essere alto”. (La radice di questo aggettivo coniugabile è 높~.) Gli aggettivi coniugabili, quindi, incorporano già il verbo “essere” e, come si vede da quest’esempio, sono elencati nel dizionario con la stessa desinenza ~다, tipica dei verbi.
Un’altra cosa che distingue nettamente l’italiano dal coreano è il fatto che in coreano i sostantivi non hanno né numero, né genere, per cui non sarà necessario che l’aggettivo venga fatto concordare con il genere e il numero del nome a cui si riferisce. Il nome che significa “cavallo”, quindi, andrà bene per rendere anche il nostro concetto di “cavalli”, mentre l’aggettivo che significa “alto” andrà bene anche per rendere il significato di “alta”, “alti”, “alte”, e ciò vale per tutti gli altri nomi e aggettivi. |
Analisi della frase ➊ 커피나 홍차를 한 잔 드시겠어요? Prende una tazza di caffè o di tè?
커피나 홍차를 caffè o tè La parola “caffè” è un’altra di quelle parole che è difficile trascrivere in coreano. La trascrizione in caratteri coreani 커피, che si pronuncia k’ŏp’i (con la prima sillaba lunga) deriva chiaramente dalla pronuncia della parola inglese “coffee”. Per noi risulta piuttosto difficile ricordare se una parola contiene una “o” aperta o chiusa. Bisogna però stare attenti alla pronuncia delle due vocali simili, ㅓ ŏ e ㅗ o, perché sono distintive. Se questa parola si pronunciasse con la “o” chiusa (come 코피) non significherebbe infatti “caffè”, ma ... “sangue dal naso”. Il suffisso 나 na qui significa “oppure”.
홍차 hongch’a è la pronuncia dei due caratteri cinesi 紅茶 che significano letteralmente “tè rosso“, che è quello più usato, per distinguerlo dal tè verde che si dice invece 녹차 (綠茶) nokch’a.
한 잔 una tazza Si pronuncia hanjan [hanˈʥan]. Il termine 잔 è un “classificatore” usato per contare coppe di vino, bicchieri di bevande o tazze di tè, come in questo caso. Il numerale usato con i classificatori deve essere alla coreana e in forma appositiva, abbreviata (qui “uno” è indicato con la forma appositiva 한 han e non con quella pronominale 하나 hana).
드시겠어요? prende? La prima sillaba, 드, è la radice del verbo 들다 che qui ha perso la ㄹ finale. Questo verbo l’abbiamo già visto in precedenza. Allora aveva il significato di “portare”, ma qui significa “prendere”, nel senso di “accettare”, o “bere”, “mangiare”, proprio come si usa in italiano. Segue poi il suffisso rispettoso 시, quello del futuro 겠 e la desinenza verbale 어요 con un livello di cortesia normale. Il punto interrogativo finale risulta necessario per indicare che si tratta di una vera e propria domanda che richiede risposta.
Analisi della frase ➋ 저녁에 커피를 먹으면 밤에 잠을 못 자요. 그것 때문에, 저는 홍차를 먹겠습니다. Se di sera prendo il caffè, di notte non dormo. A causa di ciò, prenderò il tè.
저녁에 di sera Il termine 저녁 chŏnyŏk “sera” indica il periodo che va dal tramonto del sole all’inizio della notte. Attenzione alla pronuncia di 저녁에.
커피를 먹으면 se prendo il caffè Letteralmente 커피를 먹으면 significa “Se mangio il caffè” (come si noterà, si usa il verbo 먹다 mŏkta). Di solito il verbo 먹다 “mangiare” viene usato anche per indicare l’azione del bere, il cui verbo corretto (마시다) viene usato molto meno. Il verbo 먹다 si usa anche in altre espressioni curiose, ad esempio per indicare il significato di fumare nell’espressione 담배를 먹다, letteralmente “mangiare il tabacco”, o il significato di invecchiare nel modo di dire 나이를 먹다, letteralmente “mangiare gli anni”.
밤에 di notte La parola 밤 pam “notte” ha come contrapposta la parola 낮 nat “giorno”, inteso come “periodo di luce” (낮에 naje [naˈʥe] significa “di giorno”).
잠을 못 자요. non riesco a dormire, non posso dormire L’espressione “dormire un sonno” 잠을 자다 l’abbiamo già vista parlando dei verbi e dei nomi derivati. È da considerare il fatto che qui si sia usato l’avverbio negativo 못 che indica l’impossibilità di fare qualcosa indipendentemente dalla propria volontà. Si può tradurre con “non dormo”, ma, se si vuole mettere in evidenza il vero significato dell’espressione, occorre tradurlo con uno dei due modi qui indicati, “non posso...”, o “non riesco a...”.
그것 때문에 A causa di quello L’espressione “a causa di, a motivo di, per” si rende in coreano con ~ 때문에 ttaemune [ttɛmuˈne] che è preceduto da un pronome, un nome o un verbo nella forma dell’infinito.
저는 io Come forma di cortesia verso l’interlocutore, viene qui usato il pronome “io” nella sua forma umile. Dicendo 저 chŏ [ʨʌ] io mi pongo più in basso del mio interlocutore nella scala sociale. È un segno di rispetto molto usato quando si deve parlare con dei superiori, degli anziani o con qualcuno dal quale ci si aspetta qualche favore.
홍차를 먹겠습니다. prenderò il tè. Tutti i termini che compaiono qui sono già stati considerati. Da analizzare è solo il suffisso del futuro (겠), che indica ancora una volta un segno di rispetto, facendo capire che “prenderò il tè (se l’altro me lo vorrà concedere)”, nel senso che lascio a lui la decisione di farmi questo onore. È un po’ come il nostro “prenderei il tè”.
Analisi della frase ➌ 아침밥을 먹지 않으면 점심 때에 배가 고파 죽겠다. Se non faccio colazione al mattino, all’ora di pranzo ho una fame da morire.
아침밥을 colazione del mattino La prima colazione viene chiamata “il cibo del mattino” e si pronuncia “ach’im-pap”, con la prima “p” di “pap” che è un’intensiva. La posposizione 을 è quella dell’oggetto, nella forma usata dopo consonante.
Perché quell’iniziale intensiva?
L’incontro di una consonante nasale ㅁ finale di sillaba grafica seguita da una occlusiva come la ㅂ iniziale della sillaba grafica seguente porta di solito alla sonorizzazione di quest’ultima che si trova entro confini sonori (tra una nasale e una vocale). Gli esempi non mancano, come nel caso della parola 김밥, composta da 김 (“alga commestibile”) e 밥 (“riso bollito”), che descrive del riso cotto e avvolto da fogli di alghe marine con al centro un contenuto, dove la ㅂ iniziale di 밥 si sonorizza e viene pronunciata proprio come una nostra b. Perché, allora, l’iniziale di 밥 nella pronuncia di 아침밥 non si sonorizza e diventa addirittura intensiva?
A differenza della parola che indica gli involtini di alghe e riso in cui i due componenti stanno quasi alla pari come importanza, qui abbiamo in realtà un termine composto da due parole, la prima delle quali, (아침 “mattino”), specifica quella che segue, (밥 “riso bollito”). Qui il complemento di specificazione è stato ottenuto premettendo semplicemente il termine che specifica a quello che viene specificato. In un caso come questo, anticamente fra le due parole si usava inserire una “ㅅ”, oggi scomparsa, che indicava questa dipendenza. L’immagine visualizzata qui a destra è tratta dal testo 월인석보 (月印釋譜) (二, 17b), del 1459.
È proprio a causa della necessità di mantenere chiaramente staccato il suono fondamentale di 밥 “cibo”, separato dal termine che lo specifica, 아침 “mattino”, meno importante, che la lingua ha sentito il bisogno di mantenere inalterata la pronuncia della ㅂ di 밥, anzi di rafforzarla trasformandola, come suono, in una consonante intensiva, anche se, trovandosi entro confini sonori (ㅁ e ㅏ), sembrava che avesse il diritto di sonorizzarsi, trasformandosi da p in b. Solo che ora quella provvidenziale “ㅅ”
del quindicesimo secolo qui non c’è più, e il problema nasce proprio da questo. Oggi la pronuncia di 아침밥 è un’eccezione e così è la pronuncia di moltissime altre parole composte dove l’intensiva non viene evidenziata dalla grafia, quando invece, con una semplicissima modifica, la scrittura potrebbe aiutare a ricordare la particolarità della pronuncia.
Al momento della creazione dell’alfabeto (XV secolo), per indicare la correlazione fra il primo termine (specificatore) e il secondo (specificato) si inseriva, come si è detto, una ㅅ che bloccava la voce rendendo intensiva la prima consonante del termine specificato. Ora quella utilissima consonante intermedia è scomparsa, ma chi legge spesso non sa che quella parola non segue la regola generale che vuole che l’occlusiva si debba sonorizzare se si trova entro confini sonori. Nella scrittura la ㅅ non c’è più, ma questa parola si pronuncia come se quell’antica ㅅ fosse ancora presente.
Molte altre parole coreane mantengono però ancora nella grafia la ㅅ che continua a svolgere la sua funzione, come ad esempio nella parola che indica la pipa, 담뱃대 tambaettae (che significa “cannuccia per tabacco”). Per ovviare all’inconveniente e mantenere invariati i due termini basterebbe quindi scrivere la parola “colazione del mattino” come la si scriveva una volta, 아침ㅅ밥, oppure, ancor meglio, permettere che come finale di sillaba grafica si possa usare il gruppo ㅁㅅ che oggi non si può usare e scrivere
che qui abbiamo ricostruito graficamente. Naturalmente, bisognerebbe poter anche usare questa ㅅ aggiunta in fin di sillaba grafica per tutte le parole che oggi manifestano nella pronuncia un’eccezione di questo tipo.
La colazione del mattino, più importante del pasto di mezzogiorno
Tradizionalmente, la colazione del mattino è un pasto completo, molto sostanzioso, che si consuma prestissimo, prima di andare al lavoro. Di solito, oltre al riso cotto al vapore, vengono serviti vari contorni fra cui i cavoli fermentati (김치 kimchi), una minestra e del pesce cotto alla brace. Oggi, però, molti hanno adottato la colazione all’occidentale, con il consumo di latte, un tempo sconosciuto a tavola.
먹지 않으면 se non mangio In coreano il negativo si può formare in vari modi. La forma presentata qui è piuttosto neutrale, indica semplicemente la negatività e non rivela le intenzioni del soggetto. Il suffisso 지 si aggiunge direttamente alla radice del verbo. L’ausiliare negativo 않다 (“non fare”) è il verbo che viene coniugato e che qui prende la desinenza del condizionale 으면 (“se”).
점심 때에 al momento del pasto di mezzogiorno Il pasto di mezzogiorno si chiama 점심 ed è piuttosto leggero, nient’altro che uno spuntino rispetto alla colazione del mattino. I due caratteri cinesi 點心, da cui viene il nome, in cinese significavano “dolciumi, un rinfresco”, non un vero pasto. Il termine 때 significa “tempo”, “momento”, “occasione”. Negli anni 1960-70 gli studenti usavano portare in borsa una scatoletta rettangolare di metallo (chiamata 도시락 tosirak) con un po’ di riso, piccoli contorni di vegetali, pesciolini e pezzettini di carne da consumare a mezzogiorno.
배가 고파 죽겠다 la pancia è vuota da morire Per dire che si ha fame o appetito si usa un’espressione popolare che significa “la pancia è vuota”. 배, la pancia, è seguito dalla posposizione 가 del soggetto. Poi viene il verbo 고프다, “essere vuoto”, che è usato solo in questa espressione che significa «aver fame». La forma 고파 è sospensiva e deriva da 고프 + 아. Questo modo di dire termina con il verbo 죽다 (“morire”) al futuro, coniugato nel livello di cortesia più basso, usato solo fra amici intimi, come se si parlasse fra sé e sé. La forma è quasi identica al nostro “ho una fame da morire”.
Analisi della frase ➍ 밥을 먹을 때에 한국 사람은 말하지 않아요. Mentre mangiano i coreani non parlano.
밥을 먹을 때에 Mentre mangiano / Quando mangiano Di questa parte di frase conosciamo quasi tutti i vocaboli: sappiamo che 밥 pap è il riso bollito, o il pasto, che 먹~ mŏk è la radice del verbo 먹다 mŏkta “mangiare”. Ci ricordiamo anche che 때에 significa letteralmente “nel tempo”, cioè “quando” ovvero “mentre”. Consideriamo ora le due sillabe 을. La prima è sicuramente la posposizione del complemento oggetto, ma la seconda, che è sicuramente una desinenza che cosa è? Bene, anticipando quanto svilupperemo a fondo nella nona lezione, diremo che quella desinenza è quella del participio futuro. Per dare al verbo il senso del futuro, si deve infatti utilizzare questa desinenza assieme a 때에.
A tavola, maniere tradizionali opposte alle nostre
Tradizionalmente, durante i pasti, i coreani non conversano come invece si usa da noi. Anzi, in Corea era considerato molto maleducato parlare mentre si mangiava. Si racconta di un antico filosofo coreano che, interrogato da un suo allievo mentre stava mangiando, sputò via immediatamente tutto quello che aveva in bocca per poter rispondere senza indugio allo studente. Oggi quando si trovano con degli occidentali, invece, i coreani usano le maniere occidentali.
한국 사람은 말하지 않아요. i coreani non parlano. Per dire “coreani” si può usare un termine tutto sino-coreano, 한국인, oppure due parole, la prima sino-coreana, 한국, e la seconda in coreano puro, 사람. Sia 인 (人), che 사람 hanno lo stesso significato di “persona”.
La parola 말 quando è scritta e isolata può avere due significati, “cavallo” e “parola”, come abbiamo già visto nella seconda lezione. Quando vengono pronunciati, però, i due termini si distinguono non solo grazie al contesto, ma anche per la pronuncia, perché quello che significa “cavallo” ha la vocale breve [mal], mentre quello che significa “parola“ ha la vocale lunga [maːl].
Una piccola nota sui cavalli coreani
I cavalli che si vedevano in Corea negli anni 1960, impiegati per la maggior parte dei trasporti, erano tutti piccoli come i nostri pony. Si trattava dei cavalli usati in passato anche dai mongoli nelle loro scorrerie per l’Asia. Oggi in Corea i cavalli si allevano quasi solo per usi sportivi e sono per la maggior parte di tipo arabo, come quelli che si vedono in occidente.
Analisi della frase ➎ 목포에서 제주도에 가는 배는 언제 떠나요 La nave che va da Mokpo a Chejudo quando parte?
목포에서 제주도에 da Mokpo a Chejudo La città portuale di Mokpo (목포 木浦) è il capolinea del traghetto che effettua il tragitto più breve per andare dalla terraferma all’isola di Chejudo (oggi trascritta come Jeju-do).
가는 배는 la nave che va Il nome 배 pae qui significa “nave”, battello” e il termine 가는 kanŭn che lo precede è il participio presente “andante, che va” del verbo 가다 “andare”. (Come si è detto sopra, i participi saranno esaminati dettagliatamente nella nona lezione.) Tra parentesi, si sarà notato che la parola monosillabica 배, in puro coreano, che nella quinta lezione avevamo visto significare “pera”, in questa lezione ha assunto ancora due significati diversi, “pancia” e “nave”, non distinguibili fra loro se non dal contesto. Questi significati non si sono volutamente inseriti in queste prime lezioni per far notare il gran numero di omofoni del coreano, ma sono stati
piuttosto scelti perché sono molto usati nel parlare.
언제 떠나요 quando parte? L’avverbio temporale interrogativo 언제 ŏnje significa “quando?”. A causa del fatto che questo avverbio è già interrogativo di per sé, non è necessario terminare la frase coreana con il punto di domanda. Il verbo 떠나다, qui nella forma del presente indicativo, significa “partire”. Nella pronuncia di questo segmento della frase, il tono della voce sale sulla seconda sillaba di 언제 e poi cala nella parte finale.
Analisi della frase ➏ 여기서 오후 두시 반 출발하고 제주시에는 일곱시 이십분에 도착합니다. 여행 네시간 오십분 걸립니다. Parte da qui alle due e mezzo del pomeriggio e arriva alla città di Cheju alle sette e venti. Ci vogliono quattro ore e cinquanta minuti di viaggio.
여기서 오후 두시 반 출발하고 Parte da qui alle due e mezzo del pomeriggio e Per dire “da qui” si può usare la forma 여기서 yŏgisŏ, che è un’abbreviazione di 여기에서. Il termine sino-coreano 출발 ch’ulbal significa “partenza” ed è la pronuncia dei due caratteri cinesi 出發. Aggiungendovi il verbo 하다 “fare”, si ottiene 출발하다 ch’ulbarada, il corrispondente del nostro verbo “partire.”. A causa della desinenza 고, la forma verbale 출발하고 ch’ulbarago acquista il significato di “parte e”.
제주시에는 일곱시 이십분에 도착합니다. arriva alla città di Cheju alle sette e venti. La capitale della regione di Cheju-do è la città metropolitana di Cheju (제주 濟州), oggi trascritta come Jeju. La sillaba si 시 (市), che segue il nome, significa “città”. Come al solito, i numeri che indicano le ore sono alla coreana, mentre quelli che indicano i minuti sono alla cinese. Il termine 도착 到着 toch’ak significa “arrivo a destinazione”. Aggiungendovi il verbo 하다 (“fare”) si ottiene il verbo 도착하다 toch’ak’ada “arrivare a destinazione”. Come si nota dalla pronuncia e dalla trascrizione della frase, la consonante fricativa ㅎ h rende aspirata, nella pronuncia, la consonante ㄱ k che la precede.
여행 네시간 오십분 Il viaggio, quattro ore e cinquanta minuti Il termine sino-coreano 여행 significa “viaggio” ed è la pronuncia dei due caratteri cinesi 旅行. Come per molti altri nomi sino-coreani di azioni, se si aggiungesse il verbo 하다 (“fare”), si otterrebbe il verbo corrispondente, in questo caso “viaggiare”.
Per indicare le ore (시간 時間) si usa la forma “appositiva” dei numerali alla coreana, che, nel caso di “quattro”, risulta abbreviata (네 invece di 넷).
걸립니다 richiede (tempo), impiega (tempo) Il verbo 걸리다 ha una quantità di significati diversi, la maggior parte dei quali passivi (essere appeso, depositato, collegato, intrappolato, preso, attaccato eccetera), ma qui significa semplicemente che “richiede tempo”, che “dura un certo tempo”.
|