Resoconti di vita nel regno di Chosŏn


Q

uando, verso la fine del 19º secolo l'Asia Orientale fu rivelata per la prima volta al mondo occidentale, molti osservatori stranieri ritennero che la Corea fosse essenzialmente una terra di studiosi, quando la si metteva a confronto con il Giappone militarista e con la Cina commerciale.

Uno sguardo più approfondito alla natura del sistema sociale e all'istruzione nel corso del passato dinastico della Corea mette però in dubbio l'immagine dei coreani ossessionati dal sapere. Immerso nei principi ortodossi confuciani, il popolo di Chosŏn disprezzava l'arte militare e il commercio, mentre riteneva l'imparare a memoria i classici confuciani per gli esami di stato l'unico mezzo per far conoscere il proprio nome e per salire nella scala sociale.

Con l'avvicinarsi del ventesimo secolo, però, questa rigida visione dell'istruzione non solo fu considerata irrilevante per la vita di ogni giorno, ma fu vista come una minaccia al progresso della Corea nel mondo moderno.

La scuola Ewha Haktang, nel 1886

Il reverendo Daniel L. Gifford, uno dei primi missionari americani in Corea, nella raccolta di saggi pubblicata nel 1897 con il titolo “Everyday Life in Korea” (Vita quotidiana in Corea), parla del sistema di istruzione di Chosŏn che lui considerava inefficiente. All'autore non interessava quanto raffinato fosse l'intellettuale coreano o quanto fosse in grado di memorizzare i testi confuciani e con quale grado di accuratezza. Dopo una breve permanenza in Corea, si rese conto delle ripercussioni sociali del sistema di istruzione confuciano del tempo e suggerì alla nazione di adottare un approccio occidentale nell'insegnamento di valori “universali” e di argomenti pratici.

Scriveva Gifford: “Egli (il coreano istruito) spesso diventa così pieno di sé che lo stesso Socrate non potrebbe convincerlo della sua ignoranza. È daltonico verso tutto ciò che è moderno. I suoi occhi sono volti al passato, specialmente al passato della Cina. È schiavo delle tradizioni e dei costumi trasmessigli dall'antichità. Il suo modo di pensare non ha respiro, né originalità.

Gifford pensava che l'istruzione confuciana promuovesse la divisione sociale fra le classi e intontisse il senso morale dell'individuo con la sua enfasi sulla gerarchia sociale. In un attacco alla classe dei nobili (yangban) che praticamente monopolizzavano le opportunità di studio, l'autore scriveva: “Ma il difetto è anche morale. Egli (il nobile coreano istruito) ha tutto il disprezzo di un bramino. E ancora, ha un falso orgoglio che lo porta a morire di fame piuttosto di fare un minimo di lavoro manuale.” Gifford concludeva dicendo che il frutto dell'istruzione illiberale della nazione era una potentissima classe di letterati composta esclusivamente di uomini che possedevano un “egoistico individualismo che lascia nel loro cuore poco spazio per uno spirito pubblico disinteressato o per un vero amore verso il prossimo.

L'istruttore confuciano di una scuola
per bambini in un villaggio

La critica di Gifford era diretta alla nobiltà yangban reazionaria che egli vedeva come il principale impedimento al progresso della Corea. Lo scrittore concludeva che, con la classe dominante che si interessava solo degli interessi personali, era impossibile aspettarsi che nella società coreana si radicasse nei funzionari l'onestà, il patriottismo e uno spirito di dedizione per il bene pubblico.

Nella vita politica vi è, da parte di coloro che non sono in carica, un intrigo incessante per spiazzare con mezzi disonesti o azioni scorrette i detentori di posizioni governative; e una volta che hanno occupato la carica il loro primo pensiero è quello del boa constrictor, cioè il desiderio di spremere la popolazione.

Come risultato vedeva che i sudditi erano dei poveri senza speranza, forzati a condurre una vita miserabile. Caratterizzò anche la loro indolenza come “apatia” risultante dal dominio degli spietati yangban.

Il rimedio che egli proponeva per risolvere questi problemi fondamentali della Corea era duplice: espandere il sistema di istruzione di stile occidentale e offrire sermoni cristiani per migliorare il senso morale. Il reverendo Gifford diceva: “Due cose di cui hanno bisogno i coreani, e che l'attuale sistema di istruzione certamente non dà loro, sono una visione intellettuale più ampia e un senso morale più profondo.

Una classe di matematica in una scuola di tipo occidentale a Seul, all'inizio del ventesimo secolo

Come straniero vissuto per otto anni a contatto con la popolazione locale, Gifford fornisce anche alcuni scorci di vita coreana piuttosto interessanti e mette in risalto certe caratteristiche che sono valide ancora oggi. Per quanto concerne l'abitudine all'alcol, scriveva: “I 'saloon' sono molti, con vegetali piccanti e liquori in vendita. Per le strade si vedono spesso ubriaconi piagnucolosi o risse fra ubriachi che si afferrano l'un l'altro per i capelli.

Notava inoltre che “Nessun coreano penserebbe mai di bere del latte, e mostrano grande ribrezzo per il gusto del burro. Però, anche se non lo ammette volentieri con lo straniero, il coreano talvolta si mangia il suo cane.


Tratto da “Scholarly Schemes” pubblicato su Korea Now, 10 marzo 2001. Testo originale di Choe Yong-shik. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: “Korea Now”.

Torna all'inizio della pagina
© Valerio Anselmo