Leone d’oro a Kim Ki-duk per il film “Pietà”



Il manifesto del film col titolo in coreano
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lla 69ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia il Leone d’Oro è andato al film “Pietà” del regista sudcoreano Kim Ki-duk. La parabola sul bene e sul male, con un manifesto che richiama la Pietà di Michelangelo, ha conquistato la giuria. Il titolo in coreano del film 피에타 che si vede nel manifesto qui a destra si pronuncia «Pietà», all’incirca come in italiano. In effetti la parola si applica, in scultura e pittura, all’immagine artistica della Vergine Maria che culla il corpo morto di Gesù, evocando l’amore di una madre per il proprio figlio. Pietà è la prima opera cinematografica coreana che ottiene quel prestigioso premio a Venezia.

Il maestro coreano, tornato alla ribalta dopo un periodo di tre anni di crisi personale e artistica, ha presentato un’opera intensa e straziante che si era già aggiudicata il Mouse d’Oro, il premio assegnato dalla critica del web. Kim torna in questo film su alcuni dei temi ricorrenti della sua filmografia: la violenza, le deviazioni dell’amore, la cattiveria che nasce dalla mancanza di calore umano, ma anche le condizioni di indigenza degli artigiani della periferia di Seul. Per il regista si tratta di una nuova conferma al Lido dopo il Leone d’argento vinto del 2004 con ‘Ferro 3 - Una casa vuota’.

Distaccandosi dai soliti discorsi di accettazione del premio, Kim ha ringraziato la giuria e il pubblico del festival intonando la canzone tradizionale coreana Arirang, che ha lasciato il teatro in un rapito silenzio.

La trama


I due protagonisti in una scena del film

Kang-do, un giovane esattore di crediti di un usuraio, violento al limite della psicopatia, arriva anche a rendere storpi i debitori insolventi, per poter riscuotere il premio dell'assicurazione che in precedenza erano stati costretti a firmare. Un giorno Kang-do incontra nel quartiere malfamato in cui vive una donna, Mi-sun, che gli fa credere di essere la madre che l’ha abbandonato durante la sua infanzia. Il suo desiderio di essere amato gli fa accettare la donna come propria madre e indebolisce la sua decisione di ricorrere alla violenza brutale nell’esigere il pagamento dei debiti, lasciandolo così vulnerabile alla vendetta. Quando Mi-sun viene rapita, apparentemente da una delle vittime di Kang-do, il giovane è costretto a fare i conti con il suo passato.

Kim usa uno stile esplicito e senza compromessi, con un uso crudo della violenza (e anche una scena di stupro), con momenti di un estremo realismo alternati ad altri di grande dolcezza. Il contrasto tra il rapporto di affetto tra i due e la durezza delle situazioni in cui la vicenda si svolge crea una poesia d’immagini che affascina lo spettatore. Per la trama completa del film si veda la pagina del sito movieplayer.it che si apre cliccando qui.

Kim Ki-duk è sempre stato portato alla pittura e ha fatto un’esperienza di due anni a Parigi (1990-92), dove si manteneva grazie alla vendita dei propri quadri. Anche in quest’ultimo lavoro evidenzia la propria attenzione alla pittura, facendo sì che “le immagini dialoghino fra loro, susseguendosi con grazia e forza insieme”, come dice bene la biografia del regista che si può leggere cliccando qui.


Tratto da vari siti in Internet in data 9 settembre 2012..

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© Valerio Anselmo