Riti per la pioggia

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


L

a siccità, così come le inondazioni o qualunque altro avvenimento disastroso della natura, nella Corea antica ricadeva sotto la responsabilità del governo. Nella Corea d'un tempo, in effetti, il governo si assumeva la responsabilità degli avvenimenti meteorologici. Tutte le volte che c'era una siccità, cosa che succedeva fino a un certo punto in un ciclo abbastanza regolare ogni tre o quattro anni, la corte reale nella capitale e le autorità dei governi locali entravano in azione effettuando il kiuje (기우제 ) o rito della preghiera per la pioggia. Il significato profondo di questa cerimonia andava al di là dell’esecuzione di un rito stabilito da tempo, e il re stesso era l’officiante principale degli sforzi del governo centrale per far piovere.

Il fatto che fosse lo stesso re a officiare il rito dipendeva probabilmente dal fatto che, nei tempi antichi, i capi tribali e i re coreani erano anche sciamani ed erano considerati gli intermediari della nazione fra il cielo e i regni terreni. Il re mantenne in parte quel ruolo addirittura fino alla fine del periodo Chosŏn (1392-1910).

In sostanza, il re riconosceva che la siccità era una punizione del cielo per il fatto che lui non aveva condotto gli affari dello stato nel modo appropriato. Prima di condurre il kiuje, il re effettuava abluzioni per mondarsi dalle impurità prima del rito. Digiunava e si ritirava in una casa col tetto di paglia per la durata della siccità per poter capire meglio com'era la vita della gente comune in queste circostanze. Talvolta concedeva l'amnistia ai prigionieri politici o anche a certi criminali.

Durante il periodo del regno di Koryŏ (918-1392), assieme al re e ai funzionari governativi prendevano parte al rito anche gli sciamani, ma nel periodo Chosŏn il rito divenne strettamente confuciano, anche se gli sciamani partecipavano ai riti condotti dalla gente comune nei villaggi.

Questi riti non erano cosa da poco e si tenevano in vari luoghi. Il re conduceva il kiuje di fronte agli spiriti dei propri antenati nel tempio reale Chongmyo e agli altari degli dei guardiani dello stato, che oggi si possono vedere nel parco Sajik, ad ovest del palazzo Kyŏngbok.

Un rito per implorare la pioggia condotto per le strade di Seul

Queste divinità erano considerate anche come spiriti tutelari della terra e delle granaglie che essa produceva, in altre parole erano i protettori dell'agricoltura e quindi un obiettivo principale di quanto si faceva per far piovere. Il governo conduceva anche il rito kiuje ad ognuna delle porte principali della capitale, di fronte al Chonggak (la cella campanaria che si trova nella strada Chong-no 2 ga), e in vari luoghi all'interno del palazzo reale, compreso il Kyŏnghoeru, la grande struttura aperta a due piani che si trova vicino al laghetto quadrato dei fiori di loto nella parte occidentale del palazzo Kyŏngbok.

Da parte loro, le comunità agricole in tutto il paese costruivano altari nelle montagne e accanto ai corsi d'acqua, per condurre i loro kiuje. Un'area tutto intorno agli altari e al sŏnangdang (il tempietto dedicato alla divinità locale) veniva recintata e dichiarata sacra. Poi effettuavano le appropriate abluzioni, e quindi portavano le loro offerte che normalmente comprendevano maiali, polli, bevande alcooliche, frutta, dolci di riso, riso e pesce secco. I riti venivano condotti dal capo del villaggio o talvolta da un funzionario governativo locale, e a questo rito partecipavano anche le sciamane. Canti e balli accompagnati dal suono dei tamburi e dei gong facevano parte dei riti.

È riportato che, ai tempi di Koryŏ, perfino i mercati venivano spostati in luoghi più favorevoli come parte delle azioni intese a far piovere, ed era proibita qualunque azione intesa a cercar di proteggersi dalla pioggia o dal caldo umido. Così era proibito servirsi dei ventagli e dei parasole e agli yangban (nobili) era proibito indossare gli speciali cappelli simbolo del loro stato.

Il rito kiuje viene ancora oggi eseguito in certe aree rurali e se ne può di tanto in tanto vedere uno come rappresentazione in qualche festival culturale. Forse questo rito si dovrebbe far rivivere: sarebbe anche una buona occasione per i governanti di riflettere su come conducono gli affari di stato.


Tratto da “Making Rain”, in Korea Now, 30 giugno 2001, pp. 30-31. Testo originale di Gary Rector. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: “Korea Now”.

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