Giornate di ritiro in un tempio buddista

Nota: Cliccando su un carattere cinese studiato nelle scuole medie ne viene visualizzata la scheda.


D

opo essere entrati nel tempio e avere depositato i propri averi, si è privi di tutto, salvo una specie di tuta grigia rilasciata dal tempio. Comincia così il tempo dedicato all'introspezione nelle giornate di ritiro in un tempio buddista, senza alcuno dei propri beni terreni. Prendendosi un momento di respiro dalla complessa vita della città, chi partecipa a un ritiro nel tempio esercita la propria mente e il proprio corpo attraverso la meditazione Sŏn (equivalente allo Zen giapponese) e facendo 1080 inchini, il tutto nel più completo silenzio. L'esperienza, che dura da tre a cinque giorni, può arricchire molto la propria vita.

Dopo le preghiere del mattino i partecipanti
fanno una passeggiata attorno al tempio montano.

Haeinsa è un grande tempio, molto antico, che ha salvaguardato le radici del buddismo in Corea. È anche famoso per aver conservato i blocchi per la stampa del canone buddista Tripitaka Koreana. La vita del tempio inizia alle tre del mattino ai colpi ripetuti del moktak (목탁 ), una specie di piccolo tamburo a forma di zucca, di legno, con una fessura e cavo all'interno, usato esclusivamente dai monaci buddisti per accompagnare il canto dei sutra. Coloro che partecipano al ritiro escono dalle loro celle e si dirigono verso Taeungjon, la sala principale in cui si trova una statua di Sakyamuni, il Budda storico. Quando sono tutti riuniti, il rumore del moktak si interrompe e inizia il suono del pokpo, un grande tamburo che si trova sospeso in un padiglione. Questo viene seguito da 33 squilli cristallini del pomjong, una campana buddista, e poi ancora dal suono del mogo, uno strumento a percussione di legno, a forma di pesce, usato nei rituali buddisti, e per finire dal suono dell'unpan, una lastra di metallo a forma di nuvola. Il suono di tutti questi strumenti serve a svegliare tutte le cose nella natura e nell'universo.

A questo punto iniziano le preghiere del mattino. Vi partecipano anche i monaci che si sono isolati per la clausura estiva. I canti dei sutra riempiono l'aria e i monaci si inchinano 108 volte, pregando ardentemente per ottenere modestia e umiltà. Durante questo esercizio, l'intero corpo si può dire che faccia un bagno di sudore, ma la mente si rinfresca.

Quando sorge il sole, tutti i partecipanti si siedono sul pavimento a gambe incrociate l'uno di fianco all'altro e iniziano la meditazione Zen, concentrati e con gli occhi socchiusi. Se qualcuno sembra assopirsi, il monaco istruttore provvede a svegliarlo con un colpo di chupki (una spada di canna di bambù) su una spalla. Il chupki non fa male, ma produce un gran rumore.

Star seduti per terra a gambe incrociate con un piede sul ginocchio della gamba opposta è molto doloroso per chi non vi è abituato e questa ora di meditazione può diventare un vero tormento. In uno di questi ritiri a cui partecipavano 170 persone, 20 dei partecipanti avevano abbandonato il tempio già al secondo giorno. Se chi prende parte al ritiro si aspetta di passare delle giornate tranquille di riposo sorbendo il tè in un fresco paesaggio di montagna, si sbaglia di grosso e troverà insopportabile alzarsi così presto al mattino per pregare e per star seduto fermo in meditazione.

Quando viene il momento del pasto, i partecipanti al ritiro si dispongono (ancora seduti a gambe incrociate) di fronte a un gruppo di quattro ciotole di legno, chiamate paru, contenenti rispettivamente riso, minestra, un contorno e acqua. Si dice che un monaco possa andare ovunque se ha un kasa, l'abito da monaco, e il gruppo di ciotole, cucchiaio e bastoncini. Anche nel consumare il pasto vi sono regole da seguire: non si deve fare alcun rumore e si deve mangiare sollevando la ciotola. Inoltre si deve mangiare tutto, senza lasciare neppure una grana di riso. Dopo il pasto, ognuno deve pulire accuratamente le proprie ciotole con l'acqua.

L'esperienza dei 1080 inchini è unica perché non si tratta di inchini alla nostra maniera: si inizia stando in piedi a mani giunte e poi ci si deve inginocchiare e inchinare fino a terra, con la fronte, le braccia e le mani che toccano terra. Dopo aver fatto l'inchino, si deve fare scorrere un grano del rosario di 108 grani e ci si rialza per ricominciare, e questo per 10 interi rosari! Non ci si può riposare troppo fra un inchino e l'altro perché l'inchino deve essere effettuato in tempo con il colpo della canna di bambù che l'istruttore fa sentire. È una vera fatica fisica. Alcuni del partecipanti, dopo un certo numero di inchini non riescono più neppure ad alzarsi e continuano a fare gli inchini semplicemente nella loro mente. Alla fine l'istruttore fa sentire il suono del moktak che segnala la fine dell'esercizio.

NOTA: Premesso che un inchino fino a terra è un’attività che deve essere fatta con compostezza per onorare qualcuno (in questo caso il Budda) e non un semplice esercizio di ginnastica, una prova effettuata direttamente dall’autore del sito lascia credere che quello che viene qui asserito, cioè che i partecipanti al ritiro debbano fare mille e ottanta inchini fino a terra, sia un errore dell’articolista.
Un semplice calcolo del tempo che questo esercizio richiederebbe lascia pensare che l’articolista abbia riportato la cosa solo per sentito dire. Tenendo presente che i partecipanti al corso non sono atleti allenati e calcolando che per ogni inchino fino a terra fatto secondo le regole ci vogliono all’inizio almeno 10 secondi (6 inchini al minuto, cioè 360 inchini all’ora), senza cambiare il ritmo sarebbero necessarie tre ore per compiere l’intero esercizio, senza contare che il progressivo affaticamento renderebbe sempre più lenta l’esecuzione e anche che, ad un certo punto dopo un paio d’ore o poco più, la fatica stroncherebbe anche i più resistenti.
L’esercizio di 108 inchini profondi (prostrazioni a terra) potrebbe forse essere effettivamente eseguito anche da un gruppo di persone normali, seguendo un ritmo imposto, ma con una certa fatica e parecchio tempo a disposizione, ma quello di 1080 inchini, pur se effettivamente riportato come una pratica effettuata in certi templi buddisti, si ritiene che non sia assolutamente applicabile ad un gruppo di persone non atleticamente preparate e non sufficientemente resistenti alla fatica. Insomma, sono credibili i 108 inchini, ma certamente non i 1080. In un’altra pagina di questo sito vengono citati soltanto i 108 inchini.

Alle dieci di sera tutte le luci vengono spente e ci si ritira a dormire.

I ritiri nei templi buddisti sono aperti a tutti, anche agli stranieri e a chi non è buddista. I templi più grandi, come Haeinsa e Songgwangsa, conducono ritiri per tutto l'anno. Molti altri templi offrono solo ritiri estivi, da tre a cinque giorni, focalizzati sul chwason, o “star seduti in meditazione”. I ritiri di solito comprendono lezioni sulla dottrina buddista e sulla cultura tradizionale, il canto dei sutra, le preghiere del mattino e pellegrinaggi ai templi montani. Chwason e mugon (“mantenere il silenzio”) sono elementi comuni a tutti i ritiri.

Chwason è una meditazione che si effettua seduti nella posizione del loto, con gli occhi socchiusi, mentre si allontanano da sé tutti i pensieri del mondo esterno. Anche se questo non sembra difficile all'inizio, è facile lasciarsi prendere dalla sonnolenza e nella mente possono passare una quantità di pensieri che distraggono. I partecipanti ai ritiri devono mantenere il silenzio per tutto il tempo del ritiro. Mantenendo il silenzio, ci si rende conto che parlare senza ponderare a fondo quello che si dice è una cattiva abitudine che deve essere abbandonata.

Vi sono anche templi che conducono ritiri in inglese per gli stranieri.


Basato su “Temple Retreat” in Pictorial Korea, maggio 2000. Testo originale di Pak Sung-hee, foto di Kwon Tae-kyun. Pubblicato con autorizzazione del Korea Information Service, che si riserva il copyright sull'intero contenuto della rivista. Riferimento: Korea.net.

Torna all'inizio della pagina
© Valerio Anselmo